A pochi mesi dal voto, Guardia Sanframondi sembra un paziente in coma amministrativo. La giunta Di Lonardo – nata tra promesse di rinnovamento e visioni di sviluppo – ha lentamente spento ogni impulso vitale, lasciando dietro di sé solo la scia di un paese stanco, disilluso e ormai rassegnato. Gli uffici arrancano, i progetti si arenano, i conti scricchiolano e la vita pubblica è ridotta al lumicino.

In questo scenario, c’è chi sussurra (neanche troppo piano) che forse un commissario prefettizio non sarebbe stata la tragedia che qualcuno paventava. Anzi, avrebbe rappresentato una salutare pausa di decenza amministrativa: un ritorno all’ordine, ai numeri in regola, a decisioni prese per necessità e non per convenienza. Un commissario non deve fare campagna elettorale, non deve accontentare clientele, non deve salvare facce: deve solo rimettere in sesto la macchina comunale, cosa che oggi appare un sogno lontano.

E mentre la giunta si trascina stancamente verso la fine del mandato, l’opinione pubblica guardiese e soprattutto l’opposizione – quella che dovrebbe incalzare, controllare e proporre – è evaporata. Nessuna voce, nessuna denuncia, nessuna idea. Nessuna interrogazione puntuale sui ritardi dei progetti, nessuna mozione per sbloccare situazioni incancrenite. I consigli comunali sono diventati liturgie stanche dove tutti recitano la propria parte: la maggioranza tira a campare, l’opposizione borbotta qualche timida critica di facciata e poi tace. Nessuno batte i pugni sul tavolo, nessuno chiama la cittadinanza a raccolta, nessuno rompe davvero il gioco. È una complicità silenziosa, una resa morale che pesa quanto e forse più dei disastri amministrativi della maggioranza. Perché se chi governa male ha responsabilità dirette, chi sta a guardare senza reagire è complice del declino.

Guardia Sanframondi non può più permettersi questo gioco delle parti. È tempo di cambiare davvero. Serve un ricambio vero, di sostanza e di generazione. Non bastano i volti giovani se le logiche restano vecchie; non serve cambiare il sindaco se l’apparato, le abitudini, i metodi e i silenzi restano sempre gli stessi. È arrivato il momento di una politica che non si limiti a gestire l’ordinario (peraltro male), ma che torni a pensare, progettare, rischiare.

La comunità guardiese, oggi, deve pretendere di più. Deve risvegliarsi dal torpore e riprendersi la parola pubblica: nei bar, nelle piazze, nei consigli comunali, nelle associazioni. Deve chiedere conto, pretendere trasparenza, e soprattutto deve dire basta all’amministrazione dell’inerzia.

Forse un commissario sarebbe servito solo a rimettere i conti in ordine. Ma un commissario morale, civico e culturale – quello sì – potrebbe restituire speranza a un paese che sembra averla smarrita. Perché Guardia non può continuare a sopravvivere nel grigiore del “tanto è sempre stato così”.

È ora di cambiare, davvero. Non per moda, ma per dignità.