Dispiace dirlo — come si dice per le brutte notizie che ormai fanno più sbuffare che indignare — ma camminando per le strade di Guardia la colonna sonora della nuova stagione politica è già scritta: un coro stonato di pensionati e umarell che sferragliano verso il potere come se fossero stati convocati per l’ultima tombola della carriera.

A guidare ancora una volta il futuro della nostra comunità si candida — udite udite — il suo peggiore passato. Quello che non ha mai azzeccato una scelta giusta ma ha fatto carriera proprio grazie ai suoi errori. Una generazione di revenant, che pur avendo mandato Guardia in tilt almeno due o tre volte, si ripresenta minacciando di concedere il bis. O il tris. O il quadrubis, nuovo termine tecnico-politico adattato alla situazione guardiese. E come si presentano, questi aspiranti salvatori? Si travestono da giovani. Parlano come nerd ventenni alla prima start-up e l’immancabile parola “innovazione” infilata ovunque, come il prezzemolo nei panini da sagra. Peccato che facevano danni già ai tempi di Andreotti: e nemmeno quello della prima Repubblica, ma quello che imitavano da ragazzi mentre attaccavano manifesti.

Nel frattempo, il dibattito pubblico si è spostato sul bancone del bar dove si decide chi prenderà la stanza più ampia del primo piano del Comune, e chi potrà condividere con lui (o lei) la gestione del nulla mascherata da grande piano strategico. Tra i favoriti? C’è la solita catastrofe ambulante, attiva in politica da quando Guardia aveva ancora le cabine telefoniche. Sfidata però da omologhi che nel ramo disastri si sono distinti, oppure da chi la stanza comunale ce l’ha già: uno che è persino riuscito a governare cinque anni senza fare nulla, scomparendo giusto un attimo prima che i cittadini lo notassero. Applausi.

Oggi per capire Guardia – e volendo fare un po’ di filosofia spicciola -, bisogna rispolverare il greco antico. Qui non domina la polis, la città come spazio civico, ma l’oikos: la famiglia, il clan, il vincolo di sangue. A decidere chi comanda non è il merito, ma il cognome. E in certi casi il soprannome. La convinzione più radicata? Che si possa trovare salvezza solo nella protezione familiare, nel piccolo sistema chiuso che garantisce sopravvivenza in cambio di fedeltà. È un patto implicito, una forma di voto di scambio affettivo prima ancora che elettorale. Così si costruisce il consenso: non sul progetto, ma sul parentado. E più un politico ha fatto flop, più ha possibilità di essere rieletto. Perché nel frattempo, mentre distruggeva il bene comune, ha saputo coltivare l’oikos. Ha imparato a “chiagnere e fottere”: lamentarsi come vittima, agire da padrone.

Ma quindi, si può cambiare? Certo. Basta abbattere il feudo, rompere la genealogia del potere, bandire il codice genetico dalla politica locale. Oppure più realisticamente: no. Perché cambiare davvero a Guardia significherebbe rompere con le famiglie, con i legami storici, con il quieto vivere. Vorrebbe dire no a zio Ciccillo che ti ha sempre risolto ogni problema, dalla concessione edilizia al lavoretto abusivo, dai sottoservizi dedicati al figlio sistemato nel Servizio Nazionale della Protezione Civile. Vorrebbe dire votare qualcuno che non conosce tuo padre, e che magari ha pure letto un libro.

Insomma: un rischio enorme.

In attesa del cambiamento, prepariamoci al nuovo show. La nuova stagione della politica guardiese è alle porte. Il casting è ancora aperto, ma la trama è già nota: con la banda del buco pronta a colpire ancora. Le prove generali sono già iniziate al bar, e nei ristoranti, la sceneggiatura è in mano agli stessi autori di sempre, e il finale… beh, il finale lo conoscete già.

E, come sempre, ci toccherà applaudire.