Negli ultimi giorni, complice una forzata “rettifica al motore”, ho avuto la fortuna – o forse il privilegio – di disintossicarmi dalla piccola giostra politica locale. Un’assenza temporanea, certo, ma sufficiente per constatare quanto il dibattito pubblico a Guardia sia rimasto dolorosamente immobile, come un vecchio orologio rotto che segna sempre la stessa ora: quella del declino.
Eppure questa mattina, come se l’algoritmo volesse riportarmi bruscamente alla realtà, mi è comparso un post che parlava di Guardia, della Flottiglia per Gaza, della bandiera palestinese e della posizione del Comune. Un intreccio globale e locale che, a prima vista, potrebbe sembrare sintomo di una cittadinanza viva, attenta, partecipe. Ma basta grattare la superficie per accorgersi che sotto non c’è partecipazione, bensì il solito teatrino.
Il centro della discussione? Non il degrado della comunità, non la progressiva desertificazione economica e sociale, non il collasso culturale di un paese in apnea da anni. No. Il focus era sull’opportunità – o meno – di esporre una sacrosanta bandiera. E giù valanghe di commenti, riflessioni, anatemi e benedizioni. Come se la salvezza morale di Guardia passasse dal colore di un drappo issato sul balcone del municipio.
Nel frattempo, Guardia continua la sua lenta agonia. Non arrivano fondi del PNRR, che invece arrivano nei paesi vicini, ma non perché “Roma ci ignora”: semplicemente perché nessuno li ha mai richiesti. Nessuno si è preso la briga di progettare, di proporre, di osare. Si preferisce agitare bandiere – letteralmente – mentre il paese affonda come una nave da crociera senza capitano, con i passeggeri impegnati a litigare su chi ha diritto alla sdraio migliore.
Il dramma, tuttavia, non è la mancanza di idee. È la mancanza di memoria e di responsabilità. Si avvicinano le elezioni e si parla ancora, con toni da nostalgia canaglia, di quando “c’eravamo noi” e “Guardia navigava nell’oro”. Ma quel che resta oggi è un paesaggio sfibrato, con attività che chiudono, giovani che partono e silenzi istituzionali più rumorosi di qualsiasi protesta.
E mentre tutto questo accade, i politici locali – attuali e (stra)passati – sembrano chiusi in una bolla autoreferenziale. Nessuna visione, nessuna pianificazione. Solo proclami, accuse reciproche, e un eterno presente in cui ogni crisi diventa occasione per dare la colpa a qualcun altro.
La verità è che la politica, a Guardia, non è più uno strumento di trasformazione. È diventata una tifoseria: rumorosa, polarizzata, sterile. Il vero cancro del dibattito pubblico, oggi, è la sua infantilizzazione. Non si discute più, si fa il tifo. Non si propone, si insulta. Non si costruisce, si distrugge l’altro.
E mentre il paese muore di silenzi e inerzia, c’è chi crede ancora che basti una bandiera per sentirsi dalla parte giusta della storia. Ma le bandiere, da sole, non salvano nessuno. Né un popolo sotto le bombe, né un paese che si lascia morire senza nemmeno più l’ambizione di salvarsi.