Mentre in Italia fioriscono iniziative per salvare i borghi dallo spopolamento, a Guardia Sanframondi il tempo scorre lento, lentissimo… al punto da essersi proprio fermato. In altre parti del Paese si sperimenta, si osa, si pianifica; a Guardia si osserva, si sbadiglia, si aspetta (forse Dio, forse un miracolo, forse le prossime elezioni).
A Panettieri, 300 abitanti circondati dai boschi della Calabria, il sindaco promette “montagne e cieli azzurri” a chiunque voglia trasferirsi. A Radicondoli, in Toscana, offrono fino a 20 mila euro agli under 40 per acquistare casa: nel giro di due anni sono passati da 904 a 968 abitanti – niente rivoluzioni, ma almeno qualcuno ha acceso la luce in casa.
A Trento rilanciano con 100 mila euro per ripopolare borghi con meno di 100 abitanti: sanno bene che la natura non basta, ci vogliono incentivi, visione, infrastrutture. A Fabbriche di Vergemoli, in Garfagnana, hanno accolto 130 famiglie e persino festeggiato una nascita – sì, un vero bambino, non una statua votiva. E poi c’è la Sardegna: 600 euro al mese per ogni figlio, se accetti di vivere in un borgo con meno di 5 mila abitanti. Bonus natalità per i temerari della residenza. L’eroismo si paga.
E intanto a Guardia Sanframondi?
Beh, qui si può godere del lusso inestimabile di non fare nulla. Una calma così piatta che neanche il Mar Morto riuscirebbe a pareggiarla. La classe dirigente, se così la vogliamo chiamare, continua imperterrita nella sua missione: presidiare l’irrilevanza. Si preferisce curare il proprio “particulare”, come avrebbe detto Guicciardini, piuttosto che progettare una strategia per il bene della collettività. Nessun bando, nessuna proposta concreta, nessun investimento sulla residenza, sul turismo intelligente o sulla rigenerazione urbana. Eppure Guardia avrebbe tutte le carte in regola per far sentire la propria voce nel coro dei borghi italiani in rinascita: un patrimonio culturale e religioso unico, un centro storico (quasi) integro, una vocazione enologica consolidata, una posizione strategica. Ma serve visione, non solo vino.
Il paradosso è che a Guardia esiste già ciò che altri borghi inseguono disperatamente: una folta comunità di residenti stranieri che ha scelto questo territorio, investendovi risorse, energia e speranze. Americani, inglesi, canadesi che hanno comprato case, avviato attività artistiche, portato competenze. Una risorsa preziosa, un patrimonio umano che altri sindaci si sognerebbero la notte. Ma qui, evidentemente, si preferisce trattarli come ospiti rumorosi, piuttosto che come protagonisti di un progetto di rilancio.
Nel frattempo, Penne (Abruzzo) riceve 1.700 email in una settimana da acquirenti stranieri per le case a 1 euro. A Ollolai (Sardegna) il sindaco riceve 30 mila richieste in 24 ore dopo la copertura della CNN. A Guardia? Il centralino è libero, potete chiamare senza problemi. Nessuna attesa. Nessuna risposta.
La domanda sorge spontanea: fino a quando questi “stranieri di casa” resteranno pazientemente ad aspettare che qualcuno si svegli dal torpore amministrativo? Perché dovrebbero continuare a investire in un posto dove la classe politica sembra determinata a ignorare le opportunità che cadono letteralmente dal cielo? Non è difficile immaginare che, prima o poi, anche loro inizieranno a guardare altrove: verso comuni che sanno valorizzare chi sceglie di rimanere, che costruiscono ponti anziché alzare muri di indifferenza.
Ironia della sorte: a Guardia si potrebbe tranquillamente copiare da questi esempi, importare un modello, adattarlo, sperimentare. Nessuno pretende che si inventi la ruota. Ma ci vorrebbero coraggio, ambizione e, soprattutto, un pizzico di onestà intellettuale nel riconoscere che lo status quo non funziona. Invece, si resta immobili. Ogni proposta muore prima ancora di nascere, se non è filtrata da logiche di appartenenza, clientelismo o calcolo personale. L’unica cosa che cresce è il numero delle case chiuse e dei giovani che se ne vanno.
Forse un ricambio generazionale nella classe dirigente è quanto mai necessario. O, più semplicemente, qualcuno disposto a copiare – senza vergogna – le buone pratiche altrui. Perché l’orgoglio di non imitare nessuno, quando si traduce in immobilismo, assomiglia pericolosamente alla superbia di chi affonda con la nave pur di non chiedere aiuto.
Alla fine, il paradosso è servito su un piatto d’argento: mentre altrove si sperimenta per trattenere la vita, qui si difende l’abitudine alla decadenza. E si rischia di perdere anche chi, stranamente, aveva ancora voglia di restare.