Benvenuti a Guardia Sanframondi, dove il tempo si è fermato, i giovani se ne vanno, le idee pure e i politici… beh, quelli restano. Tenacemente. Ostinatamente. Inutilmente. Un paese che potrebbe essere un gioiellino del Mezzogiorno, incastonato tra le colline sannite, con storia, cultura, vino, riti secolari e un centro storico da far impallidire le brochure della Pro Loco. Ma niente paura: ci stiamo impegnando a fondo per rovinare tutto.

“Chi fa niente non sbaglia mai”: in questo l’attuale amministrazione è un piccolo miracolo italiano. Sono riusciti ad amministrare senza amministrare, a decidere di non decidere e a trasformare il concetto di “visione” in un fastidioso effetto collaterale da evitare come la peste. A Guardia oggi non si amministra: si occupano poltrone, si sistemano amici, si partecipa a cene, si ottengono favori, si rilasciano dichiarazioni vuote e – soprattutto – si evita accuratamente qualsiasi responsabilità. Il paese si spopola? Non è colpa loro. Le attività chiudono? Colpa della globalizzazione. I ragazzi scappano? Sono troppo moderni. I problemi si moltiplicano? Ci penserà l’Assunta, al prossimo rito settennale. Nel frattempo, i pochi che ancora ci credono vengono etichettati come “criticoni”, “disfattisti” o – peggio – “filosofi”.

Nessuno si oppone. Ah già, l’opposizione. Quella creatura mitologica che un tempo aveva il compito di vigilare, proporre alternative e fare battaglie politiche. A Guardia, se c’è, si mimetizza meglio di un camaleonte sotto Prozac. Forse per evitare il contagio dell’irrilevanza, forse per non disturbare il sonno profondo degli amici e quello in cui versa il paese.

Ma la vera domanda, tra apatia e tifo da bar, è: dov’è il popolo guardiese? Ah, già. C’è la vendemmia, poi ci sarà la raccolta delle olive. Una parte se n’è andata – e chi può biasimarli? – un’altra parte si è seduta comoda sul divano del “tanto non cambia nulla”, mentre i più attivi sono occupati a fare il tifo per l’amico di turno prossimo a candidarsi, purché sia “uno di noi”. Poco importa se incapace, inadeguato o completamente scollegato dalla realtà: l’importante è che conosce mia cugina e ha fatto le elementari con mio zio.

A Guardia il cambiamento fa paura. Meglio il nulla, ma conosciuto, che il rischio di affidarsi a qualcuno che abbia davvero un’idea, un progetto, un curriculum.

Eppure (se proprio vogliamo fare i seri), si può ancora invertire la rotta. Alcuni paesini ce l’hanno fatta. Davvero. Ma lì hanno fatto una cosa rivoluzionaria: hanno smesso di votare amici e parenti e hanno iniziato a premiare le competenze. Roba forte, eh?

Ecco cosa si potrebbe fare, se a qualcuno importasse ancora:

Piano strategico vero per rilanciare questo paese. Sì, scritto nero su bianco. Non su tovaglioli di carta al bar. Basato su cultura, turismo esperienziale, agricoltura innovativa, economia circolare.

Incentivi per restare (o tornare). Non i soliti “avvisi pubblici” incomprensibili, ma sostegno concreto a chi vuole lavorare, aprire un’attività, investire. Magari riducendo burocrazia e raccomandazioni.

Turismo sì, ma intelligente. No, non basta una sagra e tre selfie per dire che si sta valorizzando il territorio. Serve una regia, una narrazione coerente, un marchio identitario serio.

Stop alla casta dei soliti noti. Si può fare politica senza essere del giro giusto. Anzi, forse è proprio quella la chiave. Basta col riciclo infinito degli stessi personaggi (e delle stesse figuracce).

Riattivare la comunità. Recuperare la relazione con i guardiesi sparsi nel mondo, trasformare l’emigrazione in un capitale sociale e culturale. Altro che nostalgie da cartolina e convegni sul castello.

In conclusione: il nemico non è lo spopolamento. È la rassegnazione. Il paradosso di Guardia è che non sta morendo per cause naturali, ma per eutanasia istituzionale assistita da indifferenza collettiva. Il vero pericolo non è l’ultimo ragazzo che fa la valigia, ma il primo cittadino che decide di non alzarsi dal divano.

E se un giorno Guardia sparirà del tutto, sappiate che non sarà colpa del governo, dell’Europa, dell’ONU o del cambiamento climatico. Sarà perché chi poteva cambiare le cose ha preferito proteggere il proprio orticello. E chi poteva ribellarsi ha scelto il silenzio.

Nel frattempo, la banda suona, la festa continua, e la nave affonda. Ma tranquilli, abbiamo già pronto il prossimo post su Facebook: “Che peccato… era un paese bellissimo.”