Pare che nel Comune gestito dall’amministrazione Di Lonardo – Guardia Sanframondi – sia calato un nuovo, avvolgente manto: il silenzio. Un silenzio così profondo e impenetrabile che perfino l’eco delle domande dei cittadini si perde nei meandri dell’indifferenza istituzionale. Ma attenzione, non si tratta di un silenzio casuale. No, qui siamo di fronte a un capolavoro di comunicazione politica: il mutismo selettivo. Perché, si sa, rispondere ai cittadini è sopravvalutato. Vuoi mettere il piacere di rispondere solo al proprio mentore, al proprio nume tutelare, al proprio… padrone? Floriano Panza, ovviamente.

Eh sì, perché quando il buon Panza alza il sopracciglio, l’amministrazione si sveglia come per incanto. Si agita, si giustifica, pubblica post e comunicati, articoli, dichiarazioni: uno spettacolo di reattività degno di una multinazionale sotto audit. Ma quando è il cittadino comune a porre critiche, domande, osservazioni? Niente. Silenzio stampa. Forse, nella visione della Giunta, il cittadino è un fastidio temporaneo, uno spettatore passivo del teatrino del potere. O, più semplicemente, non è degno di risposta. La democrazia, del resto, è bella solo quando è filtrata da chi comanda.

La loro arroganza, però, è solo la punta dell’iceberg. La verità – e qui bisogna dar loro atto di una certa coerenza – è che questa amministrazione non risponde alle critiche perché non ha nulla da dire, nulla da replicare se non “è colpa di c’era prima di noi”. Letteralmente. Dopo cinque anni di promesse, annunci, inaugurazioni mancate e cantieri eterni, le parole si sono esaurite. Non rimangono che i sorrisi di circostanza e le foto alle sagre. Il bilancio? Un elenco di incompiute. La visione? Un miraggio. L’azione amministrativa? Parcheggiata in doppia e tripla fila. E noi, che pretendiamo? Acqua potabile (possibilmente senza calcare), strade sicure e non rattoppi, una migliore qualità della vita, un’amministrazione trasparente? Ma per favore. Non saremo mica così provinciali da chiedere che l’ordinario venga fatto con regolarità? Del resto, chi osa sollevare un dubbio. D’altra parte, è difficile replicare quando si è consapevoli di essere giunti alla fine della corsa. Non una fine gloriosa, s’intende, ma quella lenta e impietosa di chi sa di non potersi più riproporre. E allora cosa si fa? Ci si dedica al grande classico dell’ultimo minuto: il saccheggio. Chi può, prende. Chi non può, si accomoda. Chi resta, spera almeno in una elemosina in saldo.

È lo spettacolo del tramonto: non quello romantico, ma quello livido di un potere stanco, che non ha più nulla da offrire se non il riflesso sbiadito di quello che avrebbe potuto essere. Un potere che cinque anni fa si era presentato come il nuovo, il competente, l’efficiente. Ricordate? “Progetti, trasparenza, partecipazione”. Parole volate via come coriandoli dopo il carnevale.

Oggi, invece, il bilancio è impietoso. Nessun confronto con i cittadini, nessun piano di rilancio, nessuna visione per il futuro. Solo un’amministrazione barricata nel palazzo, pronta a disertare ogni critica, salvo poi inginocchiarsi, con zelo e deferenza, al primo cenno del “padrino” politico di turno.

Se non fosse tragico, sarebbe quasi comico. Ma purtroppo, chi paga il prezzo di questo teatrino non sono loro: è Guardia, sono i cittadini, ancora una volta lasciati soli, senza risposte, senza ascolto, e con un paese che – ironia della sorte – attende solo che qualcuno si degni di amministrarlo davvero.