A Guardia Sanframondi, il silenzio delle strade è rotto non solo dai trattori che rientrano dalla vendemmia ma anche dal gracchiare sommesso degli aspiranti candidati alle prossime elezioni. I motori si scaldano, le cene si moltiplicano, le pacche sulle spalle ricominciano a scorrere come un antico rito di fertilità. Eppure, qualcosa stona. Non è solo l’aria stanca dell’elettorato, è proprio l’odore di déjà vu che si respira. Profumo d’occasione persa.

Le prossime elezioni comunali? Quelli informati ce le raccontano come un “banco di prova”, un “termometro del rapporto tra cittadini e istituzioni”. Peccato che il termometro segni da tempo febbre bassa e apatia alta. Nessuno è malato, ma nessuno è in salute. Una democrazia convalescente che si trascina alle urne come si va dal dentista: senza entusiasmo, solo perché bisogna.

I candidati – quelli veri, quelli probabili, quelli improbabili – hanno già iniziato il giro delle sette chiese: WhatsApp, telefonate amichevoli, promesse vaghe, sorrisi calibrati. Tutto è già visto, già detto, già sentito. Vecchio con la parrucca del nuovo, direbbe qualcuno con meno pazienza. O con più coraggio. In un contesto simile, verrebbe da citare Ennio Flaiano, che non si occupava di politica, ma la capiva benissimo: “La situazione politica in Italia diventa seria quando non è più seria”. Ecco, la situazione politica di Guardia oggi è esattamente così: talmente poco seria da diventare, paradossalmente, rivelatrice. Rivelatrice di una stanchezza profonda, di una disillusione sedimentata, di un cinismo che ormai non ha più bisogno di maschere. Dove tutti parlano di futuro, ma con l’aria di chi ha appena svuotato un piatto di lasagne. Si evocano parole come “sviluppo”, “territorio”, “giovani”, che ormai hanno la consistenza del chewing gum sotto i banchi delle scuole. Masticate e rimasticate, hanno perso ogni sapore. Manca una visione. Manca un sogno. Manca, soprattutto, l’onestà di dire che si sta solo gestendo l’esistente, in attesa che succeda qualcosa.

Anche l’anticonformismo è sotto contratto: c’è chi finge di essere fuori dai giochi mentre li gioca meglio degli altri. Chi urla contro il vecchio mentre ci si tuffa dentro con il salvagente della giovinezza. Tutto è già previsto, anche il dissenso.

Nel frattempo, i “vecchi volponi” osservano in silenzio. Sanno che nessun cambiamento vero è previsto a bilancio. Qualcuno vincerà, certo. Ma con la stessa grinta con cui si eredita una gestione condominiale: “vediamo di non fare danni”. E i cittadini? Nessuno lo dice, ma anche a Guardia ormai votano per inerzia, o non votano affatto. La passione è un ricordo, la partecipazione un fastidio, l’indignazione un’eco.

Flaiano, con il suo disincanto elegante, ci avrebbe suggerito di non prenderci troppo sul serio. Ma anche di non farci prendere in giro. La sua ironia era uno scudo, un modo per resistere al conformismo travestito da novità. In fondo, scriveva: “Viviamo in un’epoca in cui il vero anticonformista è colui che non dice parolacce”. Oggi, a Guardia, l’anticonformista potrebbe essere chi non promette niente, ma si limita a dire la verità: che l’unico vero progetto politico è riaccendere il desiderio di futuro, e che se non ci si crede più, non è solo colpa della gente. È anche colpa di chi in cinque anni ha venduto cambiamento consegnando continuità.

Le urne si avvicinano. Gli slogan stanno per decollare. Ma chi guarda da fuori – o da dentro, ma con un filo di ironia – sa già come andrà: vince chi sembra nuovo, dirige chi sa stare al vecchio posto, e intanto il paese va avanti, per abitudine. Perché, come scriveva ancora Flaiano, “Coraggio. Il peggio è passato. Adesso viene il peggio.”