C’è un’espressione che sta lentamente scalando le vette del ridicolo, diventando il mantra preferito di chi ha scambiato la fedeltà cieca per impegno civico: “Stai a criticare tutto e tutti, allora perché non ti canditi tu cosi cambierai le cose?”. La si tira fuori quando non si hanno argomenti, quando la realtà inizia a fare troppo male per essere difesa con serietà. È la toppa peggiore del buco, la frase d’ordinanza di chi non sa più come giustificare lo sfacelo.

“Se critichi, vuol dire che vuoi il potere”. Eh no, cari miei. Criticare chi ha fallito non significa voler prendere il loro posto: significa pretendere che chi quel posto lo occupa da decenni lo faccia con responsabilità, competenza e onestà intellettuale. E che se proprio non ne è capace – come ormai è lampante – che almeno abbia la decenza di farsi da parte.

Ma no, a Guardia Sanframondi si preferisce tenersi stretta quella solita, stanca élite di amici degli amici, che da decenni gioca al piccolo potere locale come fosse un Risiko, mentre il paese affonda nella marginalità: in senso statistico, economico e soprattutto culturale. Un’”élite” – si fa per dire – che vive di rendita e memoria, e che scambia ogni critica per lesa maestà, ogni dissenso per un tentativo di colpo di stato.

A questi personaggi dà fastidio che qualcuno apra bocca. Preferirebbero che si restasse in silenzio, che si fingesse che tutto va bene, che Guardia sia ancora quel gioiello conteso tra visioni e progetti. Invece Guardia è ferma, immobile, schiacciata tra l’inerzia e il clientelismo, spacciando stanchi eventi per rinascite, e restauri per rivoluzioni.

E allora no, non serve candidarsi per dire che il re è nudo. Serve onestà. Serve coraggio. Serve quella forma di amore autentico per il proprio paese che impone di denunciare ciò che non va, anche a costo di disturbare i sonni tranquilli di chi si crogiola nel proprio fallimento.

E poi, chi ha detto che non ci si candiderà? Forse il fastidio nasce proprio da qui: dal sospetto che stavolta ci sarà qualcuno capace di rompere il giocattolo, di alzare il livello, di parlare di politica vera. Quella fatta di visione, di contenuti, di idee. Non di feste, convegni autocelebrativi e inaugurazioni cicliche.

Quindi sì, continuate pure a ripetere “candidati tu” come un mantra. Forse, un giorno, quella frase vi tornerà indietro come un boomerang. E chissà, magari proprio alle prossime elezioni.