Chi, come me, ha vissuto più di una campagna elettorale a Guardia Sanframondi, sa bene di cosa sto per parlare. È quel momento sospeso, a pochi mesi dal voto, in cui la tensione cresce e – almeno per qualcuno – inizia a farsi spazio una strana euforia. Sembra che tutto stia andando nel verso giusto, che il vento sia cambiato, e che, nonostante tutto e tutti, ce la stai finalmente per fare. In questi momenti, chi è in corsa ha due possibilità: la prima è lavorare in silenzio, raddoppiare gli sforzi e sperare che il lavoro paghi. La seconda è lasciarsi andare, credere troppo nelle dichiarazioni degli amici, nei like sui social, negli articoli compiacenti. È allora che partono gli annunci trionfali, i brindisi anticipati, gli sguardi da “stavolta è fatta”. Ma se c’è una cosa che la storia recente di Guardia ci ha insegnato, è che qui non basta sentire il vento per cambiare direzione. In più di un’occasione, chi si sentiva già “eletto”, chi aveva già organizzato la festa, si è dovuto svegliare il giorno dopo con l’amaro in bocca. Ricordate il 2020? I soliti tifosi avevano stappato mentalmente lo spumante, certi che il loro “candidato” fosse già in viaggio verso Napoli. Poi arrivò il verdetto del popolo – quello vero, non quello dei tifosi – e disse “No”.

Perché accade? Perché a Guardia, come in molte altre realtà del Mezzogiorno, il mix che manda tutto all’aria è sempre lo stesso: un goccio di “noi siamo i più furbi”, una spruzzata di “tanto la gente pensa come me” e una bella olivetta di “gli altri sono dei c…”. È il cocktail preferito da chi confonde l’apparenza con la sostanza. Da chi pensa che un algoritmo conosca meglio gli umori di un paese di quanto non faccia una promessa non mantenuta, un marciapiede rotto, una strada mai realizzata o un ufficio comunale che non risponde. È l’errore di chi dimentica che Guardia è un paese abituato ad affidarsi a chi già conosce, a chi da trent’anni gestisce, governa, amministra. Il potere, qui, non è un treno da prendere al volo: è una stanza con la chiave sempre nelle stesse mani.

E allora, mentre ci si avvicina al finale di partita delle prossime amministrative, vale la pena domandarsi: siamo davvero di fronte a una nuova pagina? O si tratta, ancora una volta, dell’ennesima replica con protagonisti nuovi ma copione già scritto?

I probabili candidati sognano, com’è giusto che sia. “Sentono” che il vento è cambiato. Alcuni si sentono investiti da una folata che li porterà dritti alla vittoria. Altri vivono questo momento come l’inizio di un nuovo ciclo. Ma la verità, quella che si vede solo a luci spente, è che a Guardia si gioca sempre la stessa partita. E la vincono sempre gli stessi. Chi ancora una volta sbandiera “questa volta vinciamo noi” dovrebbe sapere che ogni illusione si paga cara. In politica, come nello sport, l’euforia è una cattiva consigliera. Soprattutto quando si ha l’abitudine di scambiare i like per voti, o l’eco sui social per consenso reale. La storia del paese è piena di palloni gonfiati troppo in fretta, scoppiati in faccia a chi li pompava con entusiasmo.

Perciò, se nelle prossime settimane sentirete qualcuno dire che “stavolta la vittoria è certa”, versatevi un camparino. E godetevi lo spettacolo. Perché a Guardia, il più grande spettacolo non è la gloria. È il tonfo di chi credeva di volare, ma non sapeva di avere le ali di cartone.