Quella che potrebbe apparire come una semplice difficoltà del comparto agricolo è in realtà il sintomo di un sistema economicamente e politicamente fragile, basato quasi esclusivamente sulla monocoltura della vite e sulla dipendenza da un’unica realtà produttiva: una grande azienda vinicola guardiese che da decenni accentra funzioni, risorse e potere. Un modello che ha garantito benessere e forza, ma che oggi – sebbene nessuno ne parla – espone l’intero territorio a un rischio sistemico senza precedenti.

A Guardia, la viticoltura non è soltanto un settore economico: è identità, memoria collettiva, cultura vissuta. Eppure, proprio questa forza simbolica rischia di trasformarsi nel suo punto debole, se non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. I segnali sono chiari e, ormai, difficili da ignorare. I prezzi delle uve sono fermi da anni, mentre i costi di produzione – carburante, fertilizzanti, trattori, prodotti fitosanitari, ecc… – aumentano senza sosta. A peggiorare le cose, c’è una nuova normalità climatica fatta di gelate tardive, grandinate e ondate di calore che compromettono raccolti e riducono le rese. A complicare ulteriormente il quadro interviene la progressiva riduzione dei ristori governativi al settore agricolo. Le calamità naturali che si susseguono con crescente frequenza trovano spesso le istituzioni impreparate o riluttanti a fornire il supporto necessario. Alluvioni, terremoti, grandinate devastanti hanno colpito numerose aziende agricole che ancora oggi attendono i ristori promessi, costrette a fare affidamento esclusivamente sulle proprie risorse per ripartire.

È inutile nascondere che in un simile contesto, molti agricoltori locali sono sul filo della sopravvivenza.

Ma il vero problema è più profondo: Guardia non ha mai avuto un piano B. L’intera economia locale gira attorno a un unico settore, il vino e a un unico attore l’azienda vinicola di cui sopra. Senza alternative, ogni flessione del mercato, ogni shock climatico, ogni taglio ai ristori pubblici rischia di mettere in ginocchio l’intera comunità. La situazione si aggrava se si guarda oltre l’economia e si osservano le dinamiche di potere. L’influenza dell’azienda non si limita alla produzione: negli anni, si è venuto a creare un intreccio profondo – e per certi versi perverso – tra il potere economico e quello politico locale. L’amministrazione comunale e la dirigenza dell’azienda condividono interessi, visioni e spesso anche percorsi e personale. Questo rapporto ha prodotto una forma di dipendenza sistemica: l’azienda vinicola è diventata al tempo stesso motore economico e perno politico, rendendo difficile qualsiasi forma di dissenso o proposta alternativa. Criticare l’azienda significa, di fatto, criticare l’intero sistema di potere locale. Ma ignorare questa realtà, oggi, equivale a chiudere gli occhi davanti a un rischio concreto: che l’intera economia di Guardia si trovi ostaggio di una sola impresa e dei suoi risultati. Lanciare l’allarme non è allarmismo: è una presa d’atto. Quando un’intera comunità dipende da un solo attore economico, il rischio non è solo la crisi, ma la paralisi democratica, l’incapacità di reinventarsi, la perdita di visione.

Eppure, le alternative non mancano. Guardia dispone di un patrimonio paesaggistico, culturale e umano di grande valore. La tradizione agricola può e deve essere un punto di partenza, non un vincolo. Dalla valorizzazione del turismo rurale al recupero di colture alternative, fino a nuove forme di economia sociale, le possibilità di diversificazione sono concrete. Ma servono scelte politiche coraggiose. Serve una nuova visione politica che sappia sganciarsi dalla sudditanza nei confronti del potere economico dominante e che rimetta al centro la pluralità, la partecipazione e il futuro.

La crisi che oggi colpisce la viticoltura di Guardia non è un fulmine a ciel sereno. È il risultato di decenni di mancata diversificazione, di miopia politica, di assenza di strategie alternative. Ma la storia non è ancora scritta. La comunità ha ancora la possibilità di scegliere se continuare a vivere in un equilibrio precario, o se iniziare un percorso di trasformazione coraggiosa e responsabile.

Difendere la viticoltura, le tante piccole aziende presenti sul territorio, non significa chiudersi in una sterile conservazione. Significa usarla come leva per costruire un futuro più resiliente, in cui il vino resti simbolo del territorio, ma non ne sia l’unica voce economica. Perché un evento climatico, una crisi di mercato o un cambio di dirigenza non possono continuare a minacciare l’intero tessuto sociale.