Mancano sei mesi alle elezioni amministrative e Guardia Sanframondi si ritrova, ancora una volta, avvolta nella solita pantomima. Sui social network si moltiplicano i post di circostanza, le prese di distanza strategiche, le scoperte dell’acqua calda. Come per magia, riemergono dalle “tasche polverose” le dita più acuminate, pronte a scrivere reprimende sui cattivi amministratori.
Ma dov’erano queste voci negli ultimi anni? Dov’erano quando si celebravano le “meraviglie del cambiamento” sulle pagine del giornale locale? Il selettivo oblio che colpisce la nostra comunità ogni volta che si avvicinano le elezioni è sintomatico di una malattia più profonda: quella della “politica vuota”.
Mai come oggi Guardia sembra pervadere ogni spazio mediatico – dai giornali ai social network – eppure mai come oggi appare evanescente, inconsistente, svuotata di significato. La politica si è trasformata da potere al servizio della comunità in spettatrice e strumento. Un simulacro di dibattito pubblico, un rito senza sostanza.
Da questo deserto ideale e progettuale cresce rigogliosa, da più di vent’anni, la rassegnazione. Un sentimento viscerale di disprezzo verso la classe dirigente che mina le basi stesse della democrazia rappresentativa. “Tanto sono tutti uguali” è diventato il mantra di chi ha smesso di credere nel cambiamento possibile.
I soggetti politici emersi nell’ultimo decennio hanno privilegiato la comunicazione sulla struttura, l’immagine sul programma, il consenso immediato sulla costruzione di visioni a lungo termine. L’avvento dei social network ha amplificato questa deriva: la politica digitale premia la semplificazione, l’emozione istantanea, lo scontro spettacolare.
I contenuti complessi sfumano e il dibattito si riduce a insulti. Nascono così politici non da percorsi di militanza o studio, ma da viralità e populismo digitale. Il risultato è una “politica liquida”, senza radici né orizzonti, che alimenta la percezione di un’élite distante, incompetente e autoreferenziale.
Questa “politica vuota” ha creato una trappola perfetta: meno la politica offre soluzioni credibili per la propria comunità, più cresce il disprezzo; più cresce il disprezzo, meno talenti e idealisti si avvicinano; meno competenza c’è, più la politica si svuota di contenuti.
La rassegnazione è diventata non più un’alternativa, ma un companatico quotidiano. E questo scenario rappresenta l’humus ideale per chi fa politica come mestiere: meno elettori coinvolti significa maggior controllo per le famiglie dominanti.
Guardia ha sei mesi per decidere se continuare in questa spirale autodistruttiva o provare a costruire qualcosa di diverso. Ma questo richiede che tutti – dai futuri candidati ai cittadini – si assumano la responsabilità del cambiamento. Ai futuri candidati chiediamo: basta con le promesse generiche e i programmi fotocopia. Guardia ha bisogni specifici che richiedono competenza tecnica e visione strategica. Non bastano i like sui social o gli slogan ad effetto. Ai cittadini chiediamo: basta con il qualunquismo comodo. Il disprezzo generalizzato non risolve i problemi, li aggrava. È tempo di tornare a interessarsi davvero della cosa pubblica, di informarsi, di partecipare.
Uscire da questa trappola richiede un nuovo patto sociale: rilegittimare il conflitto democratico, ridare centralità alle idee rispetto all’immagine, ricostruire la fiducia nell’istituzione Comune attraverso fatti concreti e non parole vuote. La prossima campagna elettorale sarà un test decisivo. O Guardia riuscirà a produrre una classe dirigente all’altezza delle sfide del tempo, o continuerà a sprofondare nella palude dell’irrilevanza, dell’indifferenza e del qualunquismo.
La scelta, stavolta davvero, è nelle mani di tutti noi. Sei mesi non sono molti, ma potrebbero bastare per iniziare a scrivere una storia diversa. Se avremo il coraggio di farlo.