Mentre frugavo le pagine di Facebook alla ricerca di qualche notizia, articolo o editoriale che illuminasse il perpetuo aggiornamento del sito Infosannio, sono incappato in un ritratto perfetto dello stato del dibattito pubblico a Guardia, o almeno nella descrizione accurata di una qualunque delle giornate – tutte malinconicamente identiche – che trascorriamo sui social network del ventunesimo secolo.
Addio, cara vecchia piazza del paese, con le tue panchine logore e i tuoi anziani saggi. Oggi la democrazia guardiese si consuma rigorosamente su Facebook, in quella magnifica arena digitale dove chiunque può trasformarsi in un esperto, urbanista, pedagogista e sociologo, il tutto nello spazio di un commento di qualche riga condito da almeno quattro like.
Il caso del Liceo Scientifico? Un capolavoro di comunicazione politica 2.0. Da una parte i Difensori dell’Indifendibile, dall’altra gli Apocalittici del Tutto Perduto. In mezzo, quella massa grigia di cittadini che vorrebbe capire come diavolo siamo arrivati a questo punto, ma che si ritrova schiacciata tra post deliranti e commenti al vetriolo. Perché, diciamocelo chiaramente, il dibattito pubblico a Guardia ha ormai assunto i toni di una soap opera messicana. Ogni giorno serve il suo nemico, ogni settimana la sua polemica, ogni mese il suo capro espiatorio. E guai a chi prova a introdurre sfumature, complessità, analisi articolate: viene immediatamente bollato come “quello che non ha capito niente” o, peggio ancora, come “uno di loro”.
Ma la questione è complessa, ben oltre la colpevolizzazione dell’una o dell’altra parte. Le responsabilità della situazione attuale non ricadono solo sull’amministrazione in carica, ma su una serie di scelte – o non-scelte – stratificate nel tempo. Telefonate ai genitori degli studenti, suggerimenti velati (e a volte meno velati) di orientare le iscrizioni verso altri istituti della provincia, sfiducia serpeggiante nelle potenzialità della scuola locale: tutti fattori che hanno scavato lentamente, ma con costanza, la fossa in cui oggi giace il liceo. Nel frattempo, i numeri parlano una lingua diversa, ma chi ha tempo di leggere i dati quando c’è da indignarsi preventivamente? E così assistiamo al magnifico spettacolo dell’indignazione a gettone. Oggi il liceo, ieri la strettoia della Portella, domani chissà cosa. L’importante è rimanere sempre arrabbiato, sempre pronti alla battaglia, sempre convinti di avere la verità in tasca. Perché l’indignazione, si sa, è molto più gratificante della comprensione. È più semplice, più immediata, più social.
Il bello di Facebook è che trasforma tutti in eroi. Comodamente seduti davanti al computer, o con lo smartphone in una mano, si può salvare il mondo un post alla volta. Si può essere coraggiosi, intransigenti, implacabili. Poi si spegne il computer si ripone in tasca l’Iphone e si torna alla vita reale, dove magari non si ha mai il coraggio di dire una parola tra un caffè e uno spumantino al bancone del bar.
Ma perché sforzarsi di ascoltare versioni diverse dei fatti quando si può rimanere comodamente nella propria bolla di conferme? E così il liceo l’anno prossimo chiude davvero. Non per un complotto, non per cattiveria, ma per una profezia che si è autoavverata. A forza di dire che “tanto non serve a niente”, che “tanto è meglio mandare i figli altrove”, che “tanto qui non funziona mai niente”, ecco che effettivamente smette di funzionare.
Congratulazioni, cari concittadini digitali: ce l’abbiamo fatta! Abbiamo trasformato la sfiducia in realtà, il pessimismo in profezia. E ora possiamo continuare a litigare su Facebook per stabilire di chi è la colpa, in un eterno presente di recriminazioni reciproche. Forse è davvero tempo di chiederci se vogliamo continuare a vivere in questo eterno reality show digitale, dove ogni giorno serve il suo dramma e ogni dramma la sua fazione. O se possiamo ancora immaginare un paese dove ci si guarda negli occhi prima di giudicare, dove si ascolta prima di condannare, dove si costruisce invece di demolire. Ma probabilmente questo pezzo finirà anch’esso nel tritacarne di Facebook, tra un “bravo, hai detto tutto!” e un “non hai capito niente!”. E il ciclo ricomincerà, immutabile come le stagioni, prevedibile come l’ennesima polemica di domani. Ma questa logica non porta con sé né costruzione né cambiamento. È un eterno presente infuocato e sterile, che lascia solo cenere. Perché a Guardia, nel 2025, si comunica solo su Facebook. E Facebook, si sa, non è mai stato famoso per la qualità dei suoi dibattiti.
Forse è tempo di domandarci: vogliamo davvero affidare tutto il nostro dibattito pubblico a un algoritmo che privilegia l’indignazione e il conflitto? O possiamo ancora immaginare un paese in cui si discute guardandosi negli occhi, ascoltando le ragioni altrui, accettando la complessità delle cose?
Perché se il liceo ha chiuso, è anche perché abbiamo smesso di crederci. E nessun post potrà riaprirlo.