La chiusura dell’ultima classe del Liceo Scientifico di Guardia Sanframondi non è solo una tragedia educativa. È il simbolo più doloroso di come un sistema politico malato possa divorare il futuro di un’intera comunità, mentre chi dovrebbe difenderlo preferisce il silenzio complice all’azione coraggiosa.

Dietro i freddi numeri delle statistiche scolastiche ci sono volti, sogni, progetti di vita spezzati. Ci sono ragazzi che a un passo dalla maturità si trovano costretti ad abbandonare i loro banchi, i loro insegnanti, il loro ambiente. Giovani che avevano riposto fiducia in un percorso scolastico che ora viene brutalmente interrotto non per loro scelta, ma per l’incapacità di una classe dirigente di tutelare il bene più prezioso: l’istruzione.

Questi studenti non sono numeri in una statistica. Sono cittadini che avevano il diritto di concludere il loro percorso formativo nella scuola che avevano scelto, nella comunità che li aveva visti crescere. Un diritto che nessuna amministrazione comunale avrebbe dovuto permettere che venisse calpestato.

Ma cosa è stato fatto in questi anni per evitare questo epilogo? Quali iniziative sono state intraprese per sostenere la scuola, per attrarre nuove iscrizioni, per dialogare con le istituzioni provinciali e regionali? Il silenzio assordante dell’amministrazione comunale non è casuale: è la prova di un’assenza totale di visione strategica, di una politica miope che ha preferito coltivare altri interessi.

Il declino delle iscrizioni scolastiche non è stato un fulmine a ciel sereno. È stato un processo graduale, prevedibile, che richiedeva già da anni interventi strutturali e una politica lungimirante. Servivano azioni concrete: miglioramento dei trasporti tra le comunità del territorio, valorizzazione dell’offerta formativa, sostegno alle famiglie, dialogo costante con la dirigenza scolastica. Politiche e iniziative culturali che rendessero il territorio vivo e attrattivo.

Tutto questo non è stato fatto. E sapete perché? Perché in un sistema dove la politica è diventata un ufficio di collocamento per parenti e portaborse, dove ogni incarico viene assegnato non per merito ma per parentela, dove il Comune è trattato come una succursale familiare, non c’è spazio per pensare al bene comune. A Guardia, come in troppe piccole realtà del nostro Paese, non si fa carriera per competenze. Il curriculum? Accessorio. Le capacità? Opzionali. Tra le colline che profumano di Falanghina e opportunità sprecate, il tempo si è cristallizzato in quello del clientelismo di provincia, del favore personale spacciato per virtù politica. E mentre gli “eletti” si scambiano prebende come figurine rare – oggi sindaco, domani consulente, dopodomani assessore ai sogni non mantenuti – il paese muore lentamente.

Il paradosso è che tutti sanno, ma nessuno parla. E se qualcuno osa rompere il silenzio, si sente rispondere con il classico “eh, funziona così da sempre”. Un mantra che ha lo stesso valore morale di un concorso pubblico vinto senza esperienza, ma con smisurata competenza nel servilismo. E intanto, mentre si spendono soldi pubblici in opere “strategiche” per pochi, mentre si colonizzano enti e si distribuiscono incarichi di comodo, la scuola – il presidio più importante per il futuro di una comunità – viene lasciata morire nell’indifferenza generale.

È amaramente ironico che questa tragedia si consumi proprio nell’anno delle elezioni amministrative. Improvvisamente, a pochi mesi dal voto, si scopre che Guardia Sanframondi è “immobile”, che ha bisogno di una scossa. Ma dove erano questi amministratori negli ultimi quindici anni? Cosa hanno fatto loro mentre la comunità si svuotava delle sue opportunità più preziose? Il tempismo non è casuale. È la strategia di chi ha governato nell’inerzia e ora cerca di presentarsi come salvatore di una situazione che ha contribuito a creare. È la politica del “tanto passerà anche questa”, dell’attesa che i problemi si risolvano da soli, mentre ci si preoccupa di sistemare amici e parenti.

Una comunità che perde la sua scuola superiore perde molto più di un edificio. Perde la capacità di trattenere i propri figli, di attrarre nuove famiglie, di guardare al futuro con fiducia. Perde quella centralità culturale e sociale che solo una scuola sa garantire. Guardia non merita questo destino. Non lo meritano i suoi giovani costretti a emigrare per studiare, non lo meritano le famiglie che hanno creduto in un progetto educativo, non lo meritano gli insegnanti che hanno dedicato anni della loro vita a questa scuola.

Ma ha le sue responsabilità anche una cittadinanza che troppo spesso si accontenta di una promessa vaga, una pacca sulla spalla, una raccomandazione sussurrata al bar. La democrazia si baratta con la cortesia, il voto con la speranza che “tanto a me qualcosa lo danno”. Così si finisce per eleggere sempre gli stessi, con le stesse idee, gli stessi amici, gli stessi devastanti silenzi.

È tempo che l’amministrazione Di Lonardo esca dal silenzio e spieghi ai cittadini cosa è accaduto. È tempo di ammettere errori, di assumersi responsabilità. I cittadini di Guardia Sanframondi hanno il diritto di conoscere la verità. Hanno il diritto di sapere perché la loro scuola ha chiuso (o si appresta a farlo), cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo, e soprattutto cosa si intende fare ora per riparare al danno. Ma soprattutto, hanno il dovere di pretendere una politica nuova, che metta al centro il merito e non la parentela, il bene comune e non l’interesse personale, il futuro dei giovani e non la sistemazione degli amici.

La chiusura del Liceo Scientifico è una ferita che sanguinerà per anni. Il silenzio non è più accettabile. Non quando in gioco c’è il futuro di un’intera comunità. Non quando i nostri giovani meritano di più di un paese che li dimentica per occuparsi di piccole beghe di potere.

I cittadini aspettano risposte. E le meritano tutte.