Quando la politica veste i panni della cultura e della memoria collettiva, è sempre bene tenere gli occhi aperti. Dietro parole come “valorizzazione”, “identità” e “ritorno alle origini” si celano spesso operazioni costruite a tavolino per giustificare spese pubbliche e attrarre finanziamenti europei, senza che nulla cambi realmente nei territori coinvolti. Il progetto Italea ne è l’ultimo esempio: una macchina mediatica ben oliata, con tanti sorrisi istituzionali, ma con un impatto pressoché nullo per paesi come Guardia Sanframondi.
Ancora una volta ci troviamo di fronte all’ennesimo progetto dai toni trionfalistici, costruito attorno a buone intenzioni, slogan altisonanti e promesse di rilancio che difficilmente troveranno riscontro nella realtà: si chiama Italea e vuole attirare gli italo-discendenti sparsi nel mondo – 80 milioni, secondo le stime – verso le radici dei propri antenati. A fare da sfondo, oltre 800 piccoli comuni italiani. Tra questi, Guardia Sanframondi, che viene puntualmente esibita come “gioiello etno-antropologico” grazie ai suoi Riti settennali. Ma la domanda è: cosa rimarrà davvero sul territorio dopo l’ennesima passerella istituzionale? Quanti di questi comuni vedranno qualcosa di più di un paio di convegni e qualche visita istituzionale?
Dietro il racconto emozionale di ritorni commoventi e comunità accoglienti, si intravede chiaramente l’impianto politico del progetto. Non si tratta solo di scetticismo, ma di esperienza: chi vive in questi borghi sa bene che la distanza tra le conferenze stampa e la vita quotidiana resta abissale. Si parla di laboratori, eventi, itinerari personalizzati, corsi di formazione. Si promettono “ritorni”, “scoperte” e “accoglienza”, ma non si menziona nulla di concreto su come queste attività si tradurranno in lavoro stabile, infrastrutture moderne o servizi reali. E intanto, Guardia continua a fare i conti con i soliti problemi: spopolamento, carenza di opportunità, servizi essenziali ridotti al minimo.
Il lessico adottato è quello tipico delle operazioni istituzionali in vista di appuntamenti elettorali: valorizzazione, identità, comunità, vocazioni territoriali. Ma a chi parla davvero questa narrazione? Di certo non a chi ogni giorno fa i conti con una realtà di disoccupazione giovanile e isolamento geografico. Non ai giovani che se ne vanno, né agli anziani che restano senza assistenza. E nemmeno ai veri turisti (quelli che tra l’altro rifuggono dalle varie Vinalie), che da queste parti ci arrivano sempre meno, e che quando lo fanno trovano una realtà affascinante ma ferma.
Guardia Sanframondi è stata citata più volte come simbolo di autenticità e spiritualità. I Riti settennali stanno diventando sempre più un brand identitario da mostrare al pubblico internazionale. Ma nessuno si è chiesto se la comunità locale abbia partecipato attivamente a questo processo o se stia solo subendo una narrazione esterna, buona a creare consenso e poco altro. La realtà è che Guardia viene strutturalmente ignorata nel dibattito politico, ma “utilizzata” nei momenti in cui serve un’immagine forte da spendere. Come in questo caso. Progetti come Italea potrebbero, teoricamente, essere una buona idea. Ma finché verranno gestiti con logiche politiche clientelari e senza indicatori chiari di impatto sul territorio, resteranno strumenti di auto-promozione per politici e associazioni ben introdotte.
Invece di moltiplicare tavoli e convegni, si potrebbe cominciare a lavorare dal basso, ascoltando i cittadini, investendo in servizi reali, incentivando il ritorno di chi ha davvero un legame con il territorio. Ma questo è un lavoro lungo, silenzioso e poco visibile. E la politica, si sa, preferisce le luci della ribalta.
In conclusione: Italea si presenta come il progetto del secolo per il turismo delle radici. Ma per molti borghi, come Guardia Sanframondi, rischia di diventare solo un’altra occasione perduta, un nuovo involucro vuoto che promette turismo e ritorni ma genera solo passerelle. Il vero ritorno, oggi, è alla realtà. Ed è lì che bisogna cominciare a lavorare.