A distanza di anni dalla celebrata nomina di “Città Europea del Vino 2019”, è tempo di fare un bilancio onesto di quella che fu presentata come una straordinaria opportunità di sviluppo per il territorio sannita. La realtà, purtroppo, è ben diversa dalla narrazione trionfale che ancora oggi viene propinata ai cittadini.

Il progetto “Sannio Falanghina”, finanziato con risorse del POC Turismo Campania 2014-2020, si è rivelato per quello che era sin dall’inizio: un’operazione di marketing territoriale fine a se stessa, priva di una strategia concreta di sviluppo economico. Dietro la facciata dorata di loghi firmati da artisti di fama e opere di street art colorate, si nasconde il vuoto pneumatico di un’iniziativa che ha bruciato denaro pubblico senza produrre alcun beneficio tangibile per le comunità locali.

Al netto della semplice domanda che ogni cittadino dovrebbe porsi, essendo risorse pubbliche: quanto è costato tutto questo? Il paradosso più grottesco di tutta questa vicenda è che – a quanto risulta – i veri protagonisti del territorio – i produttori di vino, le cantine locali, gli operatori agricoli – non hanno visto benefici concreti. Qualche incremento poco significativo delle vendite, nessun aumento delle visite in cantina, nessuna crescita dell’export. Le aziende vitivinicole del Sannio continuano a lottare quotidianamente con le loro forze per affermarsi sui mercati, senza aver ricevuto alcun sostegno reale da questa costosa operazione di facciata.

Guardia Sanframondi e gli altri comuni coinvolti aspettano ancora l’annunciato boom turistico. “Mi aspetto l’arrivo di migliaia di persone, per gustare cibi, fare passeggiate, comprare vino, e sta a noi fare in modo che non si limiti a un anno… significa mettere al centro la produzione del vino e stiamo lavorando affinché si vada verso biodistretti tra comuni della stessa valle”: garantiva allora la figura chiave di tutto ciò, l’ex sindaco Panza. Le poche strutture ricettive non registrano incrementi (e soprattutto, non ne sono state aperte altre), i ristoranti non vedono più clienti (anzi, qualche struttura ha chiuso i battenti), le strade continuano a essere percorse dagli stessi flussi di sempre. La “Ciclovia della Falanghina”, tanto decantata, resta un miraggio per la maggior parte dei potenziali fruitori, priva di una promozione efficace e di servizi adeguati.

Le cinque opere di street art, pur essendo esteticamente apprezzabili, rappresentano l’emblema di una concezione superficiale dello sviluppo territoriale. Si è pensato che bastasse colorare qualche muro per trasformare il Sannio in una meta turistica ambita. È la stessa logica che porta a credere che un logo, per quanto firmato da un artista prestigioso, possa supplire alla mancanza di una visione strategica seria e di lungo periodo.

120 eventi previsti, tra degustazioni, convegni, concerti, corsi di formazione, la presentazione a Roma presso la Camera dei Deputati, viaggi all’estero, Parigi, Bruxelles… Non è difficile leggere tra le righe il vero scopo di questa operazione: creare visibilità mediatica per chi l’ha promossa e gestita. Il timing non è casuale (le elezioni), la comunicazione martellante nemmeno. Si è preferito investire in eventi effimeri e inaugurazioni fotografabili piuttosto che in progetti strutturali che avrebbero richiesto tempo, competenza e verifiche continue dei risultati.

Il caso “Sannio Falanghina” dovrebbe servire da monito per future iniziative di sviluppo territoriale. Non bastano slogan accattivanti e partnership altisonanti per trasformare un territorio. Servono progetti concreti, misurabili, verificabili. Serve trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche. Serve soprattutto la capacità di ammettere i propri errori quando i risultati non arrivano. Ora non ci resta che aspettare gli ultimi sviluppi della Proposta Progettuale denominata “Il paesaggio culturale e antropico della Falanghina DOC come bene immateriale UNESCO”: proposta, a quanto pare, già finanziata nel 2020 dalla Regione Campania con 200mila euro.

I cittadini di Guardia e del Sannio meritano ben altro. Il vero sviluppo non si costruisce con le parole, ma con i fatti. E di fatti concreti, in questa storia, ne abbiamo visti davvero pochi.