Nell’articolo precedente nel descrivere l’arte del trasformismo dei nostri amministratori ho abusato anch’io di una frase celebre e assai fraintesa del capolavoro di Tomasi di Lampedusa, “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima”. Mentre il vero Gattopardo di Tomasi sceglieva l’elegante ritirata dal mondo che cambiava, preferendo la dignità della sconfitta al compromesso della sopravvivenza, a Guardia assistiamo da trent’anni a uno spettacolo ben diverso: la sagra perpetua dei Caporali di Totò che si credono Principi di Salina.
Si avvicinano le elezioni ed eccoli riemergere dalle nebbie del loro letargo quinquennale, come orsi politici al risveglio primaverile, pronti a rispolverare le loro arti trasformiste. Sono gli stessi volti di sempre, invecchiati di qualche ruga ma immutati nell’arte sublime del camaleontismo amministrativo. Non servono nomi, sappiamo di chi parliamo, Giovanni, Gabriele, Floriano, poi Nicola, quindi Carlo, Luigi e Raffaele… tutti insieme: l’importante è esserci sempre, come le erbacce che spuntano tra le pietre del centro storico. Una vera e propria dinastia di immortali, che farebbero invidia agli dei dell’Olimpo se solo questi ultimi avessero la loro stessa resistenza alle urne elettorali.
È commovente, in fondo, questa loro fedeltà alla cosa pubblica. Trenta quarant’anni di abnegazione, di sacrificio personale, di rinunce familiari pur di servire la comunità! Chissà quante volte, nelle lunghe notti insonni, si saranno chiesti: “Ma perché io? Perché sempre io?” E poi, all’alba, la risposta illuminante: “Perché Guardia ha bisogno di me!”. Un atto di puro altruismo che li spinge, di volta in volta, a immolarsi sull’altare del bene comune. Santi laici della politica locale, martiri della democrazia paesana. La loro interpretazione del celebre motto lampedusiano è di una semplicità disarmante: “Bisogna che tutto cambi perché io resti sempre al mio posto”. Altro che nobiltà del ritirarsi! Qui si tratta della volgare tenacia di chi considera la poltrona comunale una proprietà personale, un bene da conservare, con la stessa cura che altri riservano ai gioielli di famiglia. E infatti, guardandoli bene, quella poltrona è ormai talmente sagomata sui loro fondoschiena che sembra fatta su misura. Osservateli già dalle prossime settimane mentre si preparano all’ennesima campagna elettorale: spolverano i programmi dell’ultima volta (che erano già un riciclo di quelli di dieci anni prima), aggiornano le promesse con qualche ritocco alla modernità – magari un accenno ai nuovi ospiti stranieri, alla loro laboriosità, al digitale o alla sostenibilità – e si preparano a rivendere le stesse illusioni a cittadini guardiesi dalla memoria corta.
E che dire delle loro metamorfosi ideologiche? Una plasticità politica che meriterebbe un Nobel per la fisica: riescono a cambiare forma mantenendo inalterata la massa (del consenso) e l’energia (del potere). Tutta gente che non ha la malinconica consapevolezza del principe di Salina che vedeva arrivare “gli sciacalletti e le iene”. Loro sono gli sciacalletti, ma si credono aquile! Non comprendono che Don Fabrizio cedeva il passo con “distaccata galanteria” proprio per non diventare quello che loro sono sempre stati: arrampicatori travestiti da statisti di paese. Il vero Gattopardo si ritirava disgustato dai parvenu; i nostri eroi locali sono i parvenu, ma con la peculiarità di essere riusciti nelle loro carriere a trasformare il parvenu-ismo in una professione. Un’intera generazione di arrampicatori che si tramandano l’arte del galleggiamento politico come altri si tramandano la ricetta della nonna.
E quando qualche giovane temerario osa proporsi, ecco scattare la retorica dell’esperienza: “Bravi ragazzi, ma la politica è cosa seria. Serve competenza, serve conoscenza del territorio, serve… esperienza”. Già, quella stessa esperienza che in trent’anni ha prodotto i miracoli che tutti possiamo ammirare. Come dire: “Cari giovani, aspettate il vostro turno. Tra una quarantina d’anni, forse, se sarete stati bravi e avrete imparato l’arte del trasformismo, anche voi potrete diventare eterni come noi”.
Il bello è che hanno anche creato una loro mitologia personale. Soprattutto fra di loro si raccontano come i padri fondatori della Guardia moderna, visionari che hanno trasformato il paese. Peccato che dopo trent’anni di questa “visione” l’unico cambiamento evidente sia l’età anagrafica dei visionari stessi. Ma loro insistono: “Se non fossimo stati noi, dove sarebbe oggi Guardia?”. Risposta facile: probabilmente nello stesso posto, ma con facce diverse.
E così, mentre per le strade del centro storico si parla di ricambio generazionale, di nuove idee, di rottura con il passato, a Guardia ci prepariamo al solito valzer delle sedie, dove cambiano le musiche ma i ballerini sono sempre gli stessi. Cambiano le aggregazioni, mutano le alleanze, si rinnovano le promesse, ma le facce rimangono quelle: immortali come i santi nelle nicchie delle chiese guardiesi, immutabili come il grande masso della Leonessa.
Il capolavoro, però, sarà quando si presenteranno in piazza castello come “novità”. Con la faccia tosta di chi ha scoperto l’America, annunciando la loro “sofferta” candidatura come se fosse un evento epocale: “Ho deciso di mettermi a disposizione della comunità”. Come se negli ultimi trent’anni fossero stati in esilio volontario su un’isola deserta, invece che comodamente seduti in prima fila al Comune o in altri posti lautamente retribuiti.
Non chiamateli trasformisti, però. Loro direbbero di essere “uomini di esperienza”, “conoscitori del territorio”, “garanti della continuità amministrativa”. Tradotto: sono diventati così bravi nell’arte del paraculismo che ormai lo fanno senza nemmeno accorgersene, come chi respira. Il bello è che si offenderebbero pure se li paragonassimo ai Caporali di Totò. Loro si vedono come statisti, i veri visionari di Guardia, custodi della tradizione e pionieri del futuro insieme. In fondo, come diceva il vero Principe di Salina, “siamo dei Gattopardi”. Peccato che lui parlasse di tutt’altro.
Ma forse è proprio questo il loro capolavoro: aver trasformato il più nobile dei felini in una mascotte del trasformismo di paese. Chapeau, signori Caporali. Il Principe se ne starebbe zitto per eleganza, ma si girerebbe nella tomba per il disgusto. Tutto cambia perché tutto resti come prima. E infatti, eccoli qua. Perché loro sono indispensabili. Loro sono la continuità. Loro sono… eterni.
E noi? Noi continuiamo ad aspettare il vero cambiamento, quello che arriva quando finalmente qualcuno ha il coraggio di dire: “Grazie, ma ora basta”. Ma evidentemente a Guardia questo coraggio scarseggia quanto la voglia di andare in pensione dei nostri immortali Giovanni, Gabriele, Floriano, poi Nicola, quindi Carlo, Luigi e Raffaele…