Il termometro politico di Guardia segna febbre alta, e non è certo colpa del clima. Mentre l’estate brucia letteralmente, la temperatura mediatica e politica si alza sempre di più in una comunità che ha iniziato a scottare ben prima di questa canicola. Il countdown è iniziato: mancano pochi mesi alla fine naturale di questa giunta e di questo consiglio comunale, e già si respira nell’aria quella particolare euforia che precede ogni cambio di stagione politica. “Finalmente!” susurrano in molti, con quella speranza mista a scetticismo che caratterizza chi ha già visto troppi “finalmente” trasformarsi in “eccoci di nuovo”.
Ma ecco che arriva la domanda delle domande, quella che tutti fanno ma nessuno vuole davvero affrontare: “E dopo?” Perché è facile sognare la fine di questa classe politica, ma è molto meno semplice immaginare cosa verrà dopo. E qui casca l’asino. Guardia ha una tradizione consolidata: cambia tutto perché non cambi niente. È la commedia delle parti, dove gli interpreti sono sempre gli stessi, cambiano solo le posizioni. I meccanismi di selezione dei candidati seguono un copione scritto decenni fa: un misto di rapporti privilegiati, dinamiche familistiche e quella particolare arte locale di trasformare ogni elezione in un casting per il ruolo del “più bravo a gestire consensi”. E così, mentre ci prepariamo alle prossime elezioni comunali, dobbiamo chiederci: saremo ancora una volta spettatori del solito spettacolo? Quello in cui i protagonisti cambiano casacca ma non sostanza, dove le promesse di rinnovamento si scontrano con la realtà di un sistema che premia sempre chi ha “i giusti rapporti” piuttosto che chi ha le giuste competenze?
Lo ribadisco per chi ancora non conosce questo paese, il problema di Guardia è che funziona come un club esclusivo. Chi sta dentro, resta dentro. Chi sta fuori, può bussare quanto vuole. È la sindrome dell’insider, quella malattia endemica che fa sì che nei processi decisionali – quelli formali e soprattutto quelli informali – ci sia posto solo per chi “un posto ce l’ha da sempre”. È un sistema perfetto, in fondo: autoreferenziale, autosufficiente, autoriproducente. Come quelle matrioske russe, dove dentro ogni bambolina c’è un’altra bambolina identica, solo più piccola. Ecco, la politica guardiese è una matrioska: togli uno strato, ne trovi un altro uguale.
Ma proviamo a fare gli ingenui, a costo di prenderci degli utopisti. Immaginiamo che la primavera prossima possa portare davvero aria nuova, non solo il profumo dei fiori. Immaginiamo processi decisionali che non siano riservati ai soliti noti, ma aperti anche a chi “se lo merita” e soprattutto a chi “sa rappresentare davvero la voce dei cittadini”. Un’utopia? Forse. Ma dopo oltre vent’anni di politica che ha dimenticato il motivo per cui esiste, forse è tempo di rischiare un po’ di utopia.
La vera sfida delle prossime elezioni comunali quindi non sarà scegliere tra questo o quel candidato sindaco, ma decidere se Guardia è pronta a rompere il cerchio magico che da troppo tempo tiene la comunità ostaggio dei suoi meccanismi autoreferenziali. Perché, diciamocelo chiaramente: è facile lamentarsi del presente, ma è difficile costruire un futuro diverso. Richiede coraggio, competenza e soprattutto la capacità di allargare davvero le maglie dei rapporti di potere. Non per buonismo, ma per efficacia. Non per ideologia, ma per necessità.
La primavera delle elezioni comunali si avvicina, e con essa il momento della verità. Sarà interessante vedere se i cittadini sapranno cogliere l’occasione per sanare “le fatiche, le delusioni e le rabbie ereditate” da anni di politica autoreferenziale. O se, come spesso accade, si accontenteranno di un semplice cambio di scena, lasciando intatto il copione. Intanto, mentre la temperatura politica continua a salire, una cosa è certa: la primavera prossima ci dirà molto sul futuro di Guardia. E forse, finalmente, anche sulla sua capacità di cambiare davvero.