Bisogna riconoscerlo: Raffaele Di Lonardo è stato un innovatore. Non nelle opere, quelle sono roba del passato. Non nei progetti, troppo faticosi da realizzare. Ma nell’arte sottile dell’amministrare senza disturbare, dell’amministrare senza amministrare, del promettere senza mantenere. Un vero maestro zen della politica locale. Una Rivoluzione dell’Immobilismo.

Cinque anni fa, quando Di Lonardo si insediò, molti guardiesi si aspettavano ancora ingenuamente qualcosa. Servizi migliorati, chissà. Iniziative per i giovani, magari. Che illusi! Non avevano capito che stavano per assistere a una rivoluzione copernicana: la scoperta che la migliore amministrazione è quella che non si vede, non si sente, non si percepisce. Come quell’amministratore che si nota solo quando risponde piccato alle osservazioni di un cittadino che sui social metteva in evidenza il deserto della strada principale già alle otto di sera: “Non c’è nessuno per strada perché i guardiesi a quell’ora sono a cena”.

Ma c’è di più. Di Lonardo ha perfezionato un’arte ancora più raffinata: la paralisi preventiva. Perché rischiare che un’iniziativa non funzioni quando si può semplicemente non prenderla? Perché affrontare la possibilità di una critica quando si può evitarla non dando nulla da criticare? È la filosofia del “meglio non fare che fare male” portata alle sue estreme, geniali conseguenze.

Di Lonardo in questi cinque anni ha trasformato l’indecisione in una forma d’arte. È stato il trionfo della burocrazia contemplativa: perché agire quando si può riflettere? Perché decidere quando si può procrastinare? Perché assumersi il rischio di una scelta quando si può delegare tutto al destino, al caso, all’inerzia delle cose? E poi c’è la paura ancestrale, quella che tiene svegli di notte i grandi amministratori: e se qualcosa andasse storto? E se i cittadini non apprezzassero? E se la Corte dei Conti avesse qualcosa da ridire? Meglio allora la strada sicura dell’immobilismo. Nessuno ha mai criticato una statua per non essersi mossa.

Di Lonardo ha capito che oggi amministrare è una potenziale fonte di guai. Ogni delibera un rischio. Ogni progetto una scommessa. Meglio allora la strategia del gambero: camminare all’indietro, così da non vedere dove si va ma da sapere sempre da dove si viene. È la politica dell’autoprotezione portata al sublime. Come la Democrazia Cristiana di un tempo – ci informa l’apologeta di turno – Di Lonardo ha saputo garantire “stabilità”. Certo, la stabilità del declino. La stabilità dell’abbandono. La stabilità di chi guarda Guardia Sanframondi spegnersi lentamente giorno dopo giorno, negozio dopo negozio, giovane dopo giovane, sogno dopo sogno.

Ma l’aspetto più geniale della gestione Di Lonardo è la delega verticale ascendente: tutto quello che si potrebbe fare viene rimandato a “livelli superiori”. L’Alto Calore, la Provincia, la Regione. Sempre qualcun altro che deve decidere, approvare, finanziare. Così il sindaco può presentarsi come vittima del sistema, come chi “ce la mette tutta” ma è ostaggio di burocrazie kafkiane. È la deresponsabilizzazione elevata a sistema di governo.

Certo, il parallelo con la DC è davvero calzante, ma non nel modo che intendeva chi l’ha proposto dal bancone del bar. Come la “Balena Bianca” nazionale, anche quella guardiese da almeno un quarto di secolo ha saputo perfettamente l’arte del galleggiamento: rimanere a galla senza mai davvero nuotare verso una meta. La differenza è che la DC gestiva un Paese in crescita, mentre Di Lonardo amministra un comune in via di spopolamento. Ma poi, quale “arte di bilanciare interessi contrapposti”? Qui gli interessi sono così pochi e così scoraggiati che non c’è nemmeno bisogno di bilanciarli. È più facile ignorarli tutti insieme. È “la teoria politica del tirare a campare”, osserva con ammirazione l’analista da bar. Ecco finalmente un sindaco che ha il coraggio di dire la verità! Non nascondiamoci dietro progetti faraonici o visioni ambiziose. Tiriamo a campare. Arriviamo a fine mandato. Magari anche al prossimo. E i cittadini? i volontari? Le associazioni? Quelli che non sono ancora emigrati verso Roma, Milano o l’estero? Beh, anche loro tirino a campare. È un progetto condiviso, democratico. Tutti insieme verso il nulla, ma con ordine e disciplina.

Durante tutto il periodo del proprio mandato Di Lonardo ha perfezionato la tecnica del “domani”: domani si vedrà, domani si deciderà, domani si farà. Un domani che non arriva mai, naturalmente, ma che mantiene viva la speranza senza mai comportare l’onere della realizzazione. È la politica della promessa perpetua, del cantiere eternamente “in partenza”.

Dopo cinque anni, i risultati dell’amministrazione Di Lonardo sono sotto gli occhi di tutti. O meglio, non sono sotto gli occhi di nessuno, perché non esistono. E questo, a quanto pare, è il suo punto di forza. Niente opere strutturali che avrebbero potuto “erodere la credibilità”. Niente micro-interventi che avrebbero potuto “richiedere sacrifici”. Niente di niente. Una tabula rasa perfetta, una gestione zen del potere locale. I progetti? Quelli che c’erano venticinque anni fa, con qualche euro in più. I servizi? Quelli che c’erano, con qualche taglio in più. Le prospettive per i giovani? Sempre le stesse: la valigia e il biglietto del treno.

L’autore dell’analisi ci ricorda saggiamente che “non è scritto da nessuna parte che la maggioranza dei cittadini voglia un cambiamento”. Vero. È scritto invece nei dati demografici, nei negozi chiusi, nelle scuole che perdono iscritti, nelle associazioni che faticano a trovare volontari. Ma questi sono dettagli, fastidiosi rumori di fondo che disturbano la sinfonia del nulla. Meglio la certezza del nulla che l’incertezza del tutto. Meglio rimandare ogni decisione al giorno dopo. O al sindaco successivo.

In passato Guardia ha già avuto ciò che si meritava: sindaci che hanno saputo trasformare l’incapacità in strategia, l’immobilismo in filosofia, il fallimento in successo, la vigliaccheria amministrativa in prudenza. Ora, mentre i paesi vicini si interrogano su come crescere e innovare, Guardia può vantare un primato: essere riuscita con Di Lonardo a rimanere ferma mentre tutto intorno si muoveva. Un’arte che merita di essere studiata, se non altro come esempio di cosa non fare. Ma forse è proprio questo il vero capolavoro di Di Lonardo: aver convinto qualcuno che l’immobilismo fosse una scelta, non una conseguenza. Che la stagnazione fosse saggezza, non sconfitta. Che il vuoto fosse pienezza. Che la paura di decidere fosse prudenza, non codardia.

Chapeau, sindaco. Missione compiuta.