Le nostre montagne stanno morendo. Non per incendi – o meglio, non solo per quelli -, non per inquinamento, ma per mano di chi si proclama difensore dell’ambiente. Nel nome di un presunto “sviluppo sostenibile”, stiamo assistendo – da anni, ormai – alla più grande operazione di devastazione ambientale che il Sannio abbia mai conosciuto. E ora questa devastazione minaccia persino il neonato Parco Nazionale del Matese.

Ma c’è un particolare che rende questa situazione ancora più grave: la democrazia locale viene sistematicamente calpestata da una normativa che si contraddice. Il Consiglio Comunale di Guardia, ad esempio, si era già espresso chiaramente contro l’installazione di pale eoliche sul proprio territorio. Una posizione netta, democratica, rappresentativa della volontà della comunità che conosce e ama questa terra. Eppure, oggi quella delibera rischia di valere meno della carta su cui è scritta.

Il governo ha infatti varato una legge che considera l’installazione di pale eoliche “opera di pubblica utilità”, una definizione che di fatto svuota di significato ogni forma di opposizione democratica locale. Non importa più cosa vogliano i cittadini, non importa più cosa decidano i loro rappresentanti eletti: la “pubblica utilità” ha parlato. Ma il paradosso raggiunge l’apice quando si scopre che questa “pubblica utilità” può prevalere persino sui vincoli di tutela ambientale.

Il territorio di Guardia e dei comuni limitrofi fa infatti parte del Parco Nazionale del Matese, istituito di recente su una superficie di 87.897,7 ettari tra Campania e Molise. In teoria, la normativa stabilisce che le aree sottoposte a tutela non sono idonee agli impianti eolici, che devono mantenersi ad almeno 3 km di distanza. Ma il Consiglio di Stato ha chiarito che “gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili rappresentano opere di pubblico interesse ai fini di tutela dell’ambiente”, creando una contraddizione normativa che rischia di vanificare la protezione del parco. Oggi, con il parco ancora in fase di perimetrazione definitiva, si rischia di ripetere lo stesso errore su scala ancora maggiore, sfruttando le zone grigie interpretative per autorizzare nuovi impianti.

Chiamiamole col loro vero nome: le pale eoliche che stanno invadendo i territori nei dintorni di Guardia e dell’intero Sannio non sono strumenti di salvaguardia ambientale, ma macchine di distruzione ecologica imposte dall’alto. Ogni turbina che si erge sui nostri crinali è il monumento funebre di un ecosistema millenario sacrificato sull’altare del profitto mascherato da ambientalismo: e ora anche della prepotenza istituzionale che calpesta persino i parchi nazionali. L’ipocrisia raggiunge il suo apice quando si parla di “energia pulita” mentre ruspe devastano ettari di montagna protetta e le motoseghe abbattono boschi secolari, il tutto in spregio alla volontà popolare chiaramente espressa e ai vincoli di tutela ambientale. Faggi che hanno resistito a secoli di storia, querce che hanno visto passare generazioni, castagni che erano già adulti quando i nostri nonni erano bambini: tutto spazzato via per far posto a mostri di acciaio e cemento che nessuno qui ha mai voluto, nemmeno dentro un parco nazionale. La montagna di Guardia – oggi parte del Parco nazionale del Matese – ospita specie animali e vegetali che hanno trovato in questi habitat il loro ultimo rifugio. Innumerevoli specie di uccelli migratori sono condannate all’esodo o all’estinzione locale da una legge che antepone la “pubblica utilità” alla tutela di un’area che dovrebbe essere protetta per legge. Le pale eoliche sono vere e proprie trappole mortali per l’avifauna. Moltiplicando per le centinaia e centinaia di impianti già esistenti e previsti, parliamo di un massacro di proporzioni bibliche, autorizzato per “pubblica utilità” persino dentro un parco nazionale. E poi, ogni impianto eolico richiede colate di cemento profonde metri per ancorare le strutture. Questo significa la sterilizzazione definitiva di suoli, la rottura degli equilibri idrogeologici del territorio. Le strade di accesso necessarie per trasportare e installare le turbine richiedono ulteriori sbancamenti, frammentando interi habitat e creando cicatrici permanenti sul territorio. Il danno è irreversibile: quando fra 20-25 anni questi impianti saranno dismessi, resteranno le ferite nel paesaggio, nel suolo, nella democrazia locale e nell’integrità del parco.

Secondo quanto verificato da alcune associazioni ambientaliste, il territorio ai confini di Guardia (ovvero, Cerreto, San Lorenzo Maggiore, San Lupo e Pontelandolfo) sarebbe ancora una volta nel mirino di questa devastazione programmata. Sebbene la notizia non sia ancora ufficialmente confermata, risulta che una multinazionale del settore energetico abbia già presentato al governo richiesta per l’installazione di ulteriori pale eoliche sulla montagna che circonda il paese.

E qui sta il punto cruciale: se ciò fosse vero, non importa che il Consiglio Comunale si sia già espresso contro. Non importa che la comunità non voglia questi impianti. Non importa nemmeno che il territorio faccia parte di un parco nazionale. Il governo ha stabilito che è “pubblica utilità”, e questo basta per travolgere ogni forma di democrazia territoriale e di tutela ambientale.

La vera minaccia, quindi, non sono solo le pale: è un sistema che ha deciso di chiamare “sostenibile” ciò che distrugge l’ambiente, “democratico” ciò che ignora la volontà popolare, e “tutela ambientale” ciò che devasta persino i parchi nazionali. Se così fosse, Guardia deve resistere, ora più che mai. Non solo contro le pale, ma contro questo attacco alla democrazia locale e alla coerenza delle politiche ambientali. La delibera del Consiglio Comunale non era un capriccio: era l’espressione di una comunità che conosce il proprio territorio meglio di qualsiasi tecnocrate romano. La sua montagna, il suo bosco, la sua biodiversità – e la sua autonomia democratica – valgono più di qualsiasi megawatt imposto dall’alto, anche quando si nasconde dietro la contraddittoria scusa della “pubblica utilità ambientale”. Un territorio devastato contro la volontà dei suoi abitanti e contro i vincoli di un parco nazionale non produce energia pulita: produce solo devastazione, autoritarismo e la beffa di chiamare “tutela ambientale” ciò che ambiente lo distrugge.

È tempo di dire basta a questo falso ambientalismo industriale che ha tradito anche la democrazia e la coerenza normativa. La nostra montagna non è in vendita. Il paesaggio non è una merce. I parchi nazionali non sono optional. E la democrazia locale non è un ostacolo da aggirare quando fa comodo.

La vera transizione ecologica non può essere imposta con la forza contro la volontà delle comunità e contro i vincoli di tutela che noi stessi abbiamo creato: deve nascere dal rispetto degli ecosistemi, delle persone che li abitano e delle leggi che li proteggono. Altrimenti non è transizione, è solo sopraffazione dipinta di verde che calpesta persino i parchi nazionali.