C’è qualcosa di profondamente significativo nel vedere i giovani di Guardia scegliere la politica invece della fuga. In un’epoca in cui l’emigrazione giovanile svuota il nostro territorio, la loro decisione di rimanere e impegnarsi rappresenta un atto di coraggio che merita riconoscimento e rispetto.

Si è detto da più parti che i giovani di Guardia rappresentano il “nulla”, il “vuoto pneumatico”, l’inconsistenza della politica odierna. Si è scritto a volte con disprezzo di una generazione che non contesta più, non pensa, non agisce. Ma se il giudizio nasce dall’osservazione di chi guarda dall’alto, senza ascoltare, allora forse il vuoto è nel metodo, non nei giovani.

È vero, nel nostro paese i nostri giovani non urlano più contro chi gestisce il potere come nel secolo scorso. Ma vivono in un mondo diverso, con strumenti diversi, e scelgono la strada del confronto, del dialogo, della costruzione. Cercano spazi, non scontri. Cercano soluzioni, non slogan. E lo fanno in un contesto spesso ostile, dove chi ha voce li tratta come “scimmiette ammaestrate” invece che come cittadini in crescita.

Oggi loro sono di nuovo in piazza – non fisica, stavolta, ma digitale – perché vogliono esserci, perché scelgono di non scappare, di credere che anche nei piccoli paesi come Guardia la politica possa tornare a significare qualcosa. Questi ragazzi hanno compreso che la politica del nuovo millennio richiede strumenti diversi da quelli del Novecento. Dove i loro predecessori brandivano slogan e occupavano piazze, loro costruiscono reti, tessono relazioni, cercano il dialogo. Non è debolezza, è intelligenza strategica. Hanno capito che in una società complessa e interconnessa, globalizzata, il cambiamento nasce più facilmente dalla collaborazione che dal conflitto. Il loro linguaggio è quello della proposta, non della protesta. Le loro energie si concentrano sulla ricerca di soluzioni concrete piuttosto che sulla denuncia fine a sé stessa. Questo approccio pragmatico, lungi dall’essere sintomo di rassegnazione, dimostra una maturità politica che spesso manca anche a chi ha decenni di esperienza.

Particolarmente lodevole è la loro scelta di investire sul territorio locale. Mentre molti coetanei guardano alle grandi città o all’estero come uniche possibilità di realizzazione, altri dimostrano che ancora si può fare politica di qualità. Certamente rappresentano un antidoto prezioso contro lo spopolamento e la desertificazione democratica che affligge molte aree interne come Guardia. La loro presenza è un segnale di vitalità per una comunità che rischia di perdere il contatto con le nuove generazioni. È un investimento sul futuro che va oltre la singola esperienza politica.

Tuttavia, proprio perché crediamo nel valore del loro impegno, dobbiamo porci alcune domande cruciali. La modalità dialogante e collaborativa che caratterizza il loro approccio sarà davvero in grado di produrre i cambiamenti che la nostra comunità attende? Il rischio, non remoto, è che l’eccessiva disponibilità al dialogo si trasformi in accettazione passiva dello status quo. Che la ricerca del consenso prevalga sulla necessità di scelte coraggiose. Che il desiderio di essere ascoltati dal potere costituito diventi più importante dell’obiettivo di trasformarlo.

Questo timore non è infondato se guardiamo all’esperienza concreta delle precedenti amministrazioni guardiesi. Negli ultimi anni, diversi giovani hanno ricoperto ruoli di responsabilità nei vari consessi che si sono succeduti, ma il bilancio della loro autonomia gestionale appare francamente deludente. Troppo spesso abbiamo assistito a una sostanziale subordinazione alle logiche consolidate, con assessori e consiglieri giovani che si sono rivelati più esecutori di decisioni altrui che veri protagonisti del cambiamento.

La questione quindi non è generazionale, ma strutturale. Molti di questi giovani amministratori, pur animati dalle migliori intenzioni, si sono già trovati intrappolati in meccanismi decisionali dove il peso specifico delle loro idee innovative è risultato marginale rispetto alle dinamiche di potere preesistenti. Il rischio concreto è che l’attuale generazione, pur con il suo approccio metodologicamente diverso, possa cadere nella stessa trappola: essere cooptata dal sistema invece di trasformarlo.

L’esperienza insegna che non basta cambiare il linguaggio se non si modificano i rapporti di forza. Il dialogo e la collaborazione sono strumenti preziosi, ma devono essere accompagnati dalla capacità di mantenere una propria autonomia decisionale. Altrimenti, il rischio è quello di trasformarsi in una sorta di “gioventù di complemento”, utile per rinnovare l’immagine ma inefficace nel produrre cambiamenti sostanziali.

La vera prova per questi giovani non sarà la capacità di farsi apprezzare dai “veterani” della politica locale: l’endorsement dei “personaggi storici” può essere rassicurante ma non è garanzia di efficacia. Anzi, l’esperienza recente suggerisce che proprio l’eccessiva ricerca dell’approvazione delle vecchie leadership può diventare un vincolo paralizzante. La sfida vera sarà dimostrare che il loro metodo può produrre risultati tangibili per la comunità mantenendo una propria identità progettuale. Dovranno trovare il difficile equilibrio tra il rispetto dell’istituzione e la necessità di rinnovarla. Tra la diplomazia del dialogo e la fermezza delle posizioni. Tra l’inclusività del metodo e la chiarezza degli obiettivi.

Il successo o il fallimento di questa esperienza non dipende solo da loro. La comunità di Guardia ha la responsabilità di sostenerli senza soffocarli, di guidarli senza condizionarli, di ascoltarli senza strumentalizzarli. Ma è altrettanto importante che questi giovani imparino dalla storia recente del loro stesso territorio: l’autonomia gestionale non è un optional, è la condizione necessaria perché il loro impegno non si trasformi in un’altra occasione mancata. E chi oggi critica il loro approccio “troppo morbido” dovrebbe ricordare che spesso i cambiamenti più duraturi nascono dalla persuasione, non dalla forza. Chi invece li elogia acriticamente dovrebbe aiutarli a mantenere viva la tensione verso l’innovazione e, soprattutto, la capacità di dire “no” quando necessario.

Di certo, i giovani di Guardia intenzionati a “scendere in campo” rappresentano un esperimento interessante di nuova cittadinanza attiva. Il loro approccio merita di essere sostenuto e, al tempo stesso, sottoposto al vaglio critico dei risultati. Se nei prossimi mesi sapranno trasformare la loro energia in progetti concreti, se riusciranno a mantenere l’equilibrio tra dialogo e determinazione, se saranno capaci di innovare senza rinnegare, e soprattutto se sapranno evitare la trappola della subordinazione che ha limitato i loro predecessori, allora avranno dato un contributo prezioso non solo a Guardia, ma all’intero dibattito sul futuro della politica locale.

Il tempo dirà se questa nuova generazione politica saprà essere all’altezza delle aspettative che sinora ha saputo suscitare, imparando dagli errori di chi l’ha preceduta. A noi il compito di accompagnarla in questo percorso con la giusta dose di fiducia e di vigilanza critica, ricordando che la vera misura del successo non sarà l’armonia raggiunta con il potere esistente, ma la capacità di trasformarlo dall’interno mantenendo la propria autonomia di giudizio e di azione.