Spesso mi viene rimproverato di concentrare le mie critiche sull’amministrazione Di Lonardo, trascurando apparentemente l’opposizione. È un’osservazione che merita una risposta chiara e articolata, perché tocca il cuore del problema politico che affligge Guardia Sanframondi da troppi anni.
La verità è semplice quanto scomoda: perché sono due facce della stessa medaglia, magari una un po’ più usurata dell’altra. Maggioranza e opposizione nel nostro paese non rappresentano due visioni alternative di governo, ma due espressioni dello stesso sistema consolidato, che funziona con la precisione di un orologio svizzero: “una volta a me, una volta a te, e tutti contenti”. È questo il vero problema, non la presunta parzialità di chi lo denuncia.
Quando si critica l’amministrazione in carica, non si sta facendo il gioco dell’opposizione, ma si sta mettendo in discussione un intero modello di gestione del potere locale che prescinde dai nomi e dalle sigle. Perché criticare solo chi amministra oggi, quando sappiamo bene che domani potrebbe amministrare chi oggi siede sui banchi dell’opposizione con aria annoiata, portando avanti le stesse logiche, gli stessi metodi, le stesse reti di interesse?
È proprio questo sistema autoreferenziale che ha creato quella “cappa” di cui Guardia Sanframondi non riesce a liberarsi da decenni. Una cappa fatta di promesse sempre uguali, di progetti che si ripetono ciclicamente, di una politica che guarda più ai propri equilibri interni che alle reali esigenze della comunità.
Ma perché è così difficile scalzare questo sistema? Questo fortino dell’immobilismo. La risposta è tanto semplice quanto deprimente: perché funziona perfettamente. I loro voti sono sempre gli stessi, fedeli come un cane al padrone (e spesso altrettanto poco esigenti in fatto di prestazioni), provenienti da quella fetta di popolazione che vota per tradizione familiare, per favoritismi ricevuti o sperati, per quella forma raffinata di clientelismo mascherato da “amicizia” e “conoscenza”. Un elettorato che non si pone troppe domande sull’efficacia amministrativa, purché il proprio referente politico ricambi il saluto per strada con il giusto calore e prometta di “dare un’occhiata” alla pratica rimasta in sospeso da mesi.
È un meccanismo perfetto nella sua semplicità: tu mi voti, io ti sistemo il problema con l’ufficio tecnico; tu non fai troppe domande, io continuo a fare finta che tutto vada bene. Un do ut des che ha trasformato la politica locale in una sorta di agenzia di servizi personalizzati, dove il bene comune è un optional. E così il sistema si autoalimenta, forte di un consenso che non ha bisogno di risultati concreti per sopravvivere, un po’ come certi reality show che vanno avanti da vent’anni senza che nessuno capisca perché li guardi ancora. Basta mantenere in vita la macchina del favore e dell’interesse personale. Tanto, se anche qualcosa non va, c’è sempre l’opposizione pronta a rilevare, con gli stessi identici metodi e le stesse identiche facce, magari solo un po’ più riposate dopo qualche anno di meritata “pausa democratica”.
Non si tratta di campanilismo o di sterili polemiche personali. Si tratta di constatare che questo modello ha mostrato tutti i suoi limiti: stagnazione economica per molti, arricchimento per altri, spopolamento, mancanza di una visione strategica per il futuro. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, indipendentemente da chi abbia governato negli ultimi anni. L’unica via d’uscita: la nuova generazione. Se si vuole realmente cambiare, una terza via deve necessariamente intercettare la nuova generazione. Quella che non ha debiti di riconoscenza con nessuno, che non vive di nostalgie per i “bei tempi andati”, che non ha bisogno di favoritismi per andare avanti nella vita. Quella generazione che guarda ai risultati più che alle promesse, che valuta le competenze più che le parentele, che non si accontenta del “si è sempre fatto così”.
Ecco perché diventa fondamentale iniziare a ragionare su una terza via per le prossime elezioni amministrative. Non per spirito di rivalsa o per ambizione personale ma per necessità oggettiva. Guardia Sanframondi ha bisogno di una classe dirigente che non sia espressione di questo sistema consolidato, che non debba rendere conto ai soliti equilibri, che possa guardare ai problemi con occhi nuovi. Una terza via che sappia intercettare le energie migliori del paese, che coinvolga chi finora è rimasto ai margini della politica locale, che proponga soluzioni innovative invece di ripetere ricette già sperimentate senza successo. E soprattutto, che sappia parlare a chi non ha ancora ceduto alla rassegnazione di considerare normale l’inefficienza. Non è questione di essere contro qualcuno, ma di essere per qualcosa di diverso. Per una politica che metta al centro il bene comune invece degli interessi di parte. Per un’amministrazione che sappia guardare oltre il proprio mandato. Per una classe dirigente che abbia il coraggio di rompere con le logiche del passato.
Le prossime elezioni amministrative rappresenteranno un’occasione storica per Guardia Sanframondi. Sprecarne l’opportunità significherebbe condannare il paese a un altro ciclo di stagnazione, a rimanere nel club dei “Comuni Marginali”, con la stessa colonna sonora di sempre: “ma cosa vuoi che cambi, sono sempre gli stessi che comandano”.
È tempo di voltare pagina, davvero. Perché il vero cambiamento non arriva mai dall’alto, e non arriva mai da solo. Arriva quando le persone decidono di prendersi la responsabilità del proprio futuro e di quello della propria comunità.