La colonna sonora della nuova Guardia — quella uscita dalle elezioni di settembre 2020 — non è stata sicuramente un inno al progresso, ma una lunga teoria di revenant, con più Quid che idee. Mummie che si autodefiniscono “esperti” perché hanno fallito in ogni incarico precedente, ma con una straordinaria resilienza nel riciclarsi. Villa Arzilla è il loro simbolo. Il simbolo di un modo di fare politica che puzza di naftalina. Tuttavia a Guardia Sanframondi la politica non è morta. No. È in coma farmacologico. Tenuta in vita a colpi di incarichi, parentele, incarichi ai parenti. Qui non si governa: si occupano poltrone. Non si discute: si recitano copioni. Non si cambia: si gira in tondo, come in una puntata infinita di una soap locale, con protagonisti che muoiono politicamente ogni cinque anni ma tornano sempre nella scena successiva. Con la stessa faccia, la stessa giacca, lo stesso “programma”, e lo stesso miracolo di resurrezione. Un sistema che vive di equilibri interni, alleanze familiari e personali, dove il consenso si costruisce più con la gestione delle relazioni che con la qualità delle proposte. La maggioranza governa, l’opposizione osserva, e troppo spesso – dietro i proclami – si intravede una complicità tacita, un patto non scritto che garantisce a chi c’è già di restare, e a chi aspira ad esserci di non disturbare troppo.

La chiamano alternanza democratica. Ma è solo un cambio di scrivania tra amici, compari e cugini. Mentre Guardia resta ferma, come il cartello “lavori in corso” all’ingresso del paese. Questo meccanismo paralizza il dibattito, svuota la partecipazione, scoraggia le nuove energie. Chi prova a portare innovazione o a proporre visioni alternative viene rapidamente neutralizzato, inglobato o screditato. La cosa peggiore? È tutto già visto. Ogni cinque anni si presentano come il futuro, ma sono la copia sbiadita del passato. “Innovazione”, “smart city”, “hub culturali”: belle parole da slide. E dietro? I soliti nomi, i soliti giri, i soliti voti incrociati tra chi comanda per un quinquennio e chi finge di opporsi. Perché come dicevamo sopra: qui opposizione e maggioranza sono la stessa compagnia teatrale, cambiano solo i ruoli. Non ci credi? Guarda bene. Gli “oppositori” sono ex amministratori, riciclati, riconvertiti, rientrati. Come i prodotti in offerta al supermercato: cambia l’etichetta, ma la scatola è sempre quella. E quando ad ogni elezione parlano di “rottura col passato”, si riferiscono solo a una rottura di scatole.

Nel frattempo, il paese resta fermo. Le promesse di valorizzazione culturale e rilancio turistico si rincorrono nei programmi elettorali come parole vuote, senza mai tradursi in politiche coerenti e durature. Le “nuove idee” spesso si rivelano ricicli di vecchi progetti mai realizzati, o peggio ancora, operazioni di facciata senza visione. Oggi gli opinionisti da bancone del bar — categoria nobile in paese — hanno già deciso il vincitore delle prossime elezioni. Basta sedersi a bere un aperitivo al bar per sapere chi vince, chi perde, chi “sta con Tizio” e chi “è passato con Caio”, in una girandola di alleanze, pettegolezzi e sussurri che manco in un romanzo di Camilleri, sapendo già cosa succederà nel 2026, ma senza la forza di cambiare canale. Non sia mai! Il cittadino tutto questo lo sa. Lo sa da anni. E infatti non sogna più. Non c’è più neanche la rabbia, solo rassegnazione. L’ultima speranza di cambiamento è finita nel programma elettorale del 2020 pieno di buoni propositi, ma l’unica cosa cambiata davvero sono stati i rapporti di convenienza. E così, anche nella prossima tornata elettorale, tornerà la banda del buco, in versione guardiese: nomi noti, facce eterne, patti mai dichiarati ma sempre rispettati. Un sequel involontario de L’audace colpo dei soliti ignoti, ma senza Totò, senza risate, e con un buco nel bilancio comunale invece che nel muro della banca.

La verità è che per la carica di primo cittadino, al di là di Amedeo e pochi altri, in questo paese non esistono alternative visibili. La macchina del riciclo è talmente ben oliata che chi prova a proporsi come nuovo viene triturato, rieducato, e riemesso nel sistema col badge “giovane promessa”. A Guardia, come in Italia, si finge uno scontro tra titani, ma in realtà è sempre la stessa partita a briscola tra zii e cugini, e chi perde ha già prenotato il posto per la prossima mano. E noi? Siamo diventati spettatori. Apatici, rassegnati, convinti che “tanto non cambia niente”. Ma è proprio lì che ci fregano. Ogni volta che ci arrendiamo all’idea che “vincono sempre loro”, loro vincono davvero. E brindano. Magari stavolta con un Cartizze e con i fondi del prossimo evento pubblico a cui non partecipa nessuno.

Ma c’è una cosa che possiamo fare. Non una rivoluzione — tranquilli — ma un gesto semplice: smettere di votarli. Tutti. Già dalle prossime elezioni. Ogni candidato che ha già fallito, che si è già seduto, che ha già detto “stavolta cambiamo tutto” (e non ha cambiato niente), va lasciato fuori. Gentilmente ma con decisione: grazie, il vostro tempo è finito.

Guardia non ha bisogno di supereroi: i floriani, i papiloni, i falati, gli orsi e le pigne. Solo di persone normali, con idee normali, e soprattutto senza scheletri nelle giunte passate. Serve gente che non voglia un posto, ma un progetto. Che non veda la politica come una carriera, ma come un servizio. Che non parli di “comunità” solo nei post su Facebook, ma la viva davvero. È ora di aprire le finestre. Non solo quelle del Municipio. Se loro non vogliono farsi da parte, dobbiamo farlo noi: con il voto, con la voce, con la faccia, con chi ha già dimostrato con i fatti il proprio valore e per questo in passato è stato messo da parte. Mettiamoci in mezzo. Manca meno di un anno. Occupiamo quello spazio che loro usano solo per la passerella. Facciamolo nostro.

Perché il futuro di Guardia non è nelle mani di chi ha già avuto mille occasioni. È nelle mani di chi ha ancora tutto da perdere: e tutto da provare a costruire.