C’è qualcosa di profondamente disorientante nel sentire un sindaco in carica da quasi un lustro parlare come se fosse appena arrivato — o, peggio ancora, come se non avesse avuto alcun ruolo nella gestione della cosa pubblica negli ultimi cinque anni. È quanto accaduto, secondo diversi presenti, durante la recente presentazione del movimento “Guardia Viva”.

In quell’occasione, il primo cittadino Di Lonardo chiamato a intervenire – e prima di lui l’ex sindaco Panza -, ha scelto di indossare i panni del commentatore preoccupato, anziché quelli del leader responsabile. Chi ha assistito all’evento ha avuto più la sensazione di trovarsi davanti a un’operazione di autoassoluzione collettiva che a una manifestazione civica. Un tentativo maldestro di prendere le distanze da sé stessi, di azzerare la memoria amministrativa degli ultimi decenni, come se i cittadini potessero improvvisamente dimenticare promesse disattese, progetti mai decollati, slogan ormai logori. Invece di proporre un bilancio critico, si è preferito ancora una volta il rifugio del “faremo”. Un lessico che rivela una verità sconcertante: per loro, il passato semplicemente non esiste.

Ma il passato, al contrario, esiste eccome — ed è fatto di scelte, di rinvii, di bilanci incompleti, di opportunità mancate. Le figure politiche che da decenni orbitano intorno al Municipio — molte delle quali ben visibili in prima fila, come mostra la foto — non sono comparse improvvise sulla scena pubblica. Sono volti noti, protagonisti di lungo corso, ex amministratori, candidati ricorrenti, professionisti, aspiranti notabili e opinionisti da bar: tutti parte di quel piccolo teatro della politica paesana che si ripete, immutato, da anni, con gli stessi attori e lo stesso copione.

Nel 2020, l’amministrazione Di Lonardo si era presentata come l’amministrazione del “Noi”, promettendo “competenza, presenza, unità” e l’ambizione di liberare Guardia dai condizionamenti dei partiti e dalle logiche di potere. Proprio ciò che gli ospiti stranieri — promotori del neonato movimento — chiedono nel volantino di presentazione. Era un appello alla fiducia, alla concretezza, a un nuovo modo di fare politica. Ma oggi, a quasi cinque anni di distanza, quel patto con la cittadinanza appare svanito, dissolto in una nebulosa di retorica e promesse non mantenute.

Ed è proprio qui che emerge il paradosso più grave: un’amministrazione che si comporta come se fosse vittima di eventi esterni, di circostanze imponderabili, di “altri” mai nominati ma sempre responsabili. Una forma di dissociazione istituzionale che svuota la leadership di ogni autorevolezza. Perché amministrare significa decidere. E decidere comporta assumersi la responsabilità degli effetti, anche quando sono impopolari, anche quando deludono.

Il pubblico presente — eterogeneo, forse stanco, forse più consapevole — ha reagito con freddezza. Nessun entusiasmo, molti sguardi perplessi. È il segno che qualcosa si è incrinato. Forse non solo nei confronti di questa classe dirigente, ma verso un modo di fare politica a Guardia che appare sempre più distante dalla vita reale delle persone. Le cittadine e i cittadini, così come gli ospiti stranieri, non chiedono miracoli: chiedono onestà nel racconto della realtà, visione a lungo termine, e soprattutto coerenza tra parole e azioni. Una cittadinanza che non si accontenta più, che pretende trasparenza, partecipazione, risultati concreti. E soprattutto non crede più al “faremo” e chiede, con urgenza: cosa avete fatto, finora?

In politica, la fiducia si conquista con i fatti, non con gli slogan. Chi è intervenuto aveva un’occasione preziosa: quella di tracciare un bilancio onesto, riconoscere gli errori, forse persino proporre un rilancio credibile per la nostra comunità. Hanno invece scelto la via della narrazione autoreferenziale, dove l’autocritica non trova spazio e la responsabilità è sempre altrove. Un’occasione mancata, l’ennesima.

Ecco perché il paradosso è tanto evidente quanto grave: una classe dirigente fatta solo di inadempienze e retorica non solo smarrisce il proprio ruolo istituzionale, ma contribuisce a generare sfiducia, confusione e disillusione. Eppure, il cambiamento non è un miraggio. Basta guardare ai bisogni concreti, quotidiani, che i cittadini pongono da anni senza ricevere risposte adeguate. Migliorare la qualità della vita a Guardia non richiede miracoli, ma interventi mirati, trasparenti e condivisi. Mobilità e manutenzione urbana. Strade dissestate, marciapiedi impraticabili, illuminazione carente, per citarne alcuni: sono problemi ordinari, ma irrisolti. Occorre un piano di manutenzione programmata, con priorità chiare e aggiornamenti pubblici sullo stato di avanzamento. Servizi essenziali e digitalizzazione funzionanti. In un’epoca in cui si parla ovunque di transizione digitale, a Guardia si fatica ancora a ottenere documenti o informazioni basilari. Serve uno sportello comunale digitale, davvero accessibile, affiancato da personale formato a supportare i cittadini meno abituati alla tecnologia. Spazi per i giovani e le famiglie. La mancanza di luoghi di aggregazione è una ferita aperta. Un’amministrazione lungimirante dovrebbe investire in centri polifunzionali, palestre pubbliche, iniziative culturali e laboratori per le nuove generazioni, ecc. Valorizzazione del patrimonio e del turismo locale. Guardia ha un’identità, una storia, un paesaggio che meritano ben altra visibilità. La promozione del territorio, se affidata a competenze vere e non a improvvisazioni elettorali, può generare sviluppo, lavoro e orgoglio civico. Partecipazione reale. Infine, è necessario restituire voce alla cittadinanza. Non con assemblee simboliche o post su Facebook, ma con strumenti veri di partecipazione: bilanci partecipativi, consulte tematiche, tavoli aperti su scuola, sanità, ambiente.

Proposte semplici, concrete, già adottate altrove. Perché non qui?

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