Una sconfitta per Guardia, per la politica, per il futuro. Eleggere quattro anni fa Di Lonardo al Comune ha certificato l’impotenza di una comunità e l’incapacità di fare un solo passo avanti. Si è confermata l’incapacità di intendere e di volere di chi ancora oggi si ostina a definirli i maggiori esponenti politici nostrani. Dopo il decennio bianco sul Municipio, si è tornati al punto di partenza. Dopo Panza viene Panza, scrivemmo già subito dopo le elezioni. Non sappiamo se Di Lonardo volesse soltanto scaldargli il posto, lo scopriremo fra qualche mese; di sicuro in questi quattro anni non ha mai pensato di tirarsi indietro nonostante la platea dei guardiesi, a larga maggioranza, lo reclama da tempo fuori dal palcoscenico. Lo vedremo. A me la sua elezione (sebbene l’abbia sostenuta) è sembrata negativa, anzi avvilente, per ragioni oggettive e soggettive, ovvero sia per il quadro generale di come è messa la politica in questo paese sia per quel che è stato il sindaco Di Lonardo nei quattro anni di mandato. Le ragioni oggettive sono lo stallo di un paese che non riesce a uscire dalla situazione in cui è, e di una politica minorenne, per non dire di peggio, una nuova generazione che non ha il coraggio di chiedere le chiavi di casa e non sa fare un passo senza i genitori, non riesce a trovare una figura che la rappresenti; non sa darsi un futuro che non sia la prosecuzione automatica del presente; non conosce autonomia ma solo soggezione al potere vigente, for ever. Panza qua Panza là, a oltranza. E l’erede non si vede, non si trova. Ma nessuno può negare come tutto ciò sia una prova ulteriore dell’arroganza mascalzona di questa politica, la dimostrazione che ormai larga parte dei guardiesi hanno capito: se non sei dei loro, e se non sei deciso da loro, nessuno è eleggibile: a meno che non sei portatore di voti (vedi Amedeo Ceniccola). Sono loro a certificare chi è e chi non è adatto al ruolo. La società guardiese è molto difficile da decifrare. Un paese monarchico nel peggiore dei modi, per conformismo da gregge, attaccato a una dinastia di poche famiglie e alla perpetuazione degli assetti politici precostituiti da decenni e al feticismo verso una persona. Un paese statico, conformista per viltà e servilismo e per mantenere gli stessi posti a ogni livello. Una visione da incubo che non mette solo a rischio il futuro di Guardia, ma pregiudica irrimediabilmente un qualsiasi modello di sviluppo si voglia attuare; ammesso e non concesso che a Guardia esista qualcuno capace di farlo. L’unico criterio guida è la Stasi, cioè lasciare al potere chi è già al potere (a turno, oggi a me domani a te). Il resto è solo finzione scenica. Gattopardismo. Detto questo, resta l’immagine fallimentare della gestione Di Lonardo: i suoi compagni di …(avventura), si sono mostrati inadeguati e ancora una volta è emerso che a Guardia a detta di una parte di cittadini certamente minoritaria il più sveglio nel pollaio resta Panza, piaccia o non piaccia. Ma a parte le ragioni di ordine generale, è sotto gli occhi di tutti che Di Lonardo non è stato l’interprete di una nuova stagione del cambiamento, pur nella mimesi mastelliana-democristiana. Sul piano dell’azione non ha mai difeso Guardia quando c’era da dire qualcosa. Non ha mai detto (e fatto) nulla sulle storture in atto nel nostro paese e nel territorio, come ad esempio il degrado e soprattutto la sanità. Sul piano del futuro di Guardia è stato la traduzione moderata del decennio panziano e dei suoi temi a base di vino e cotillon. Poi, certo, Di Lonardo ha avuto garbo istituzionale, senso della misura e del decoro, non è mai andato oltre le righe: infatti in pochi lo hanno visto. E per chi ha avuto modo vederlo in questi quattro anni è stato il Custode del Palazzo e di tutti i suoi assetti, ha ripetuto a pappagallo i luoghi comuni del politicamente corretto, fino all’ovvietà e alla narcosi.
Oggi Guardia, in attesa del passaggio di consegne della primavera del 2026, è un Paese sospeso. Come il caffè a Napoli. Un paese che vive la sindrome della vigilia; l’attesa del voto sospeso nell’aria come un conto da regolare. Un anno è lungo da passare, ma dopo averlo passato, immaginarne altri cinque così è un supplizio dantesco. Che voglia di dimettersi da guardiese…