Sono come bambini. Non è paradossale laddove si rifletta: siamo nel pieno dell’ennesima estate guardiese e invece è tutto un coro di gridolini giubilanti dai vedovi inconsolabili dell’inciucio. Parlare di politica (o presunta tale), quindi, in questo paese, con questo caldo, non è il massimo. Ma, visti i comunicati sui social, lettere sui banconi dei bar e commenti giunti dopo l’inizio dei lavori allo “stretto della Portella”, chissà, forse è il caso di riprovarci.

Sono come bambini. “Maestra, non hanno risposto al Prefetto e ai pompieri? Maestra, non è vero, nessuno ci ha scritto, e poi tu dov’eri?” L’ennesima collisione fra gli ego di maggioranza e opposizione (che poi è la stessa cosa): “La Comunità guardiese ha il diritto di vivere in assoluta concordia una delle manifestazioni più importanti del mondo cristiano, chiaramente legata alla religiosità popolare… Che rammarico dover constatare la mancanza di unità tra le rappresentanze politiche del nostro paese nell’interesse supremo della piena riuscita dei Riti”. Certo, come no! Come se non l’avessero demolito loro questo paese. Loro, di cui sappiamo tutto e non dimentichiamo nulla.

Per fortuna nessuno ha chiesto ai polemizzanti di cui sopra di parlare del biglietto da visita che Guardia (Portella e non Portella) esibisce oggi ai forestieri, ai rientranti e ai restanti (noi ormai ci abbiamo fatto il callo) e ai turisti stranieri nelle stradine del centro storico ridotte a porcilaie da favelas, sennò sarebbe scoppiata la rissa e qualcuno avrebbe chiesto di andare al bagno.

Il guaio, temo, come da sempre avviene a Guardia, è il malvezzo di guardare sempre agli altri e mai ai cittadini, criminalizzati come zotici populisti. Che in democrazia, ricordiamolo, come i clienti al ristorante, hanno sempre ragione. Gente che va capita: gente che ne ha viste troppe, nel lungo film del tafazzismo di questo paese.

Per questo non fatevi ingannare da queste finte polemicuzze da bancone del bar. Non fatevi ingannare neanche dalle altisonanti locandine fatte di commemorazioni e festicciole messe su dai volenterosi e dalla pro loco in piazza o sul castello, mostre ed eventi culturali per pochi intimi, o dall’ennesimo capitolo della “saga” di tal Antonio della Portella, giochi popolari all’ombra del comune, dal mesto ciabattare popolano alla ricerca di nacchere, musso, noccioline e falanghina e, al calare della prima tenebra, quando il vociare confuso di torme di paesani abbronzati di ritorno dalla spiaggia di Marina di Vasto, olezzanti di salsedine, pomodori con il riso, creme abbronzanti e con una aura iridescente di fiamme, per tutto il sole accumulato durante il corso della giornata e l’ultimo concerto degli anta banda (che Dio ce li conservi a lungo), per concludere con il solito magna magna agostano come ultimo luculliano pasto del condannato prima dell’espiazione.

E così, mentre i finti polemisti giocano a Risiko con questo paese spostando una ruspa un po’ più in là e un po’ d’asfalto da nord a sud a o viceversa, la gente normale pensa a tutt’altro, ai prossimi Riti e ai figli che finalmente ritorneranno a casa. E se ne frega dei ferrivecchi che ormai da decenni gestiscono questo paese che – intendiamoci – esistono nel cuore e nella mente di tante brave persone, ma sono ormai usurati e sputtanati.

Meno male che, in tutto questo, quasi al termine della stagione, climatica, nel tepore soffuso, prima languido poi gelido, del Santuario, il cittadino di Guardia e non solo si rimirerà in beata estasi la Statua e i capolavori affrescati e dipinti prendendo commiato dal riverbero del sole urticante che promana da fuori, dal caldo, dalle auto impazzite, dal mondo, dalla Guardia ostaggio dei forestieri e dei rientranti: molto meglio per noi prendere aria qui, fermarsi supplici, per la sete di metafisica, lungo le navata plumbea e fiocamente rischiarata da un carnicino sfarfallare di candele.