Il Sannio si svuota. Ed è un peccato, perché il Sannio avrebbe bisogno di ben altre attenzioni. Di sguardi attenti e proposte lucide, di persone con gli occhi sgranati a trovare bellezza in ogni angolo, di sostegno e collaborazione, non di una classe politica incapace di guardare oltre lo status quo: incapace di proporre una visione culturale nuova del territorio. Il territorio sannita non ha bisogno di turisti distratti e di passaggio, di piatti unici e cucina spettacolo, prodotti tipici dell’enogastronomia locale, di esteti delle rovine. Non ha bisogno di gente (perlopiù giovani) che viene solo “a mangiare”. Un tema che negli ultimi anni è diventato centrale nella società e nella politica (l’unico segmento in costante e continua crescita nel panorama dell’offerta turistica sannita): come discorso, come rappresentazione, come business. Il mangiare e il bere è una delle principali ossessioni della sua classe politica e non solo, soprattutto nelle innumerevoli “sagre” che affollano il nostro territorio. Sui media locali si parla ossessivamente e continuamente di cultura del cibo, di enoturismo, di fagioli, funghi, castagne, vini; nei luoghi pubblici si parla ancora del mangiare, in giro è tutto un viavai tra sagre mangerecce; mentre sullo sfondo prende corpo lo scontro di civiltà tra la falanghina e l’aglianico, o tra il virno autoctono e quello alloctono, tra il fagiolo della regina e il fagiolo borlotto, un cicatello e una ciliegia; tra la pasta e fagioli in tutte le salse e del soffritto, dei peperoni mbuttunati e via dicendo. E la gara alla trovata più originale, capace di oscurare le bizzarrie del paese vicino, si scatena frenetica, irresistibile, senza esclusione di colpi. Nella Valle telesina e non solo ci sono i paesi che si contendono il primato della falanghina: e già questa gara è un tantino più credibile e certamente in sintonia con le migliori tradizioni enogastronomiche del territorio. Ogni paese ha la sua specialità, salvo poi a verificare che dei prodotti reclamizzati nella zona non c’è, e non c’è mai stata, la benché minima ombra. Ma tant’è. È tempo di sagre e sagra sia. E la fiera della vanità e dell’incultura si perpetua senza il benché minimo vantaggio dal punto di vista turistico culturale e con il quasi certo rischio igienico e immondizia buttata ovunque.

È l’ombra inquietante di un turismo per le masse. Un turismo fatto di migliaia di persone che nel periodo estivo decidono di “regalarsi il nostro territorio”, quello iperaffollato prodotto dalla magnocrazia, dai mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità, dalla violenza simbolica che spinge al consumismo in tutte le forme. Con tutto quel che ne consegue in termine di disagi per la collettività.

Non sarebbe il caso di invertire la tendenza e cambiare registro? Il Sannio può offrire di sé un’immagine non volgare, non pacchiana, fatta di semplicità, di genuinità, di belle e nobili tradizioni; può offrire il meglio della sua cultura senza spocchia, con grande dignità. Nessuno qui è contrario a prescindere al turismo del cibo, o al turismo per le masse. I nostri dubbi semmai derivano dal fatto che tutto ciò è diventato nel tempo la cenerentola dello sviluppo del nostro territorio e la serva sciocca della politica. È vero, il rilancio del territorio passa anche dai funghi e dalla falanghina, ma con le comunità ridotte a sguaiate mangerie. E a chi importa se nel frattempo da noi molti musei sono gratuiti.

Viviamo in una vera e propria dittatura alimentare. Una dittatura alimentare uniforme che incombe anche sul nostro territorio; che si sta uniformando nel cibo. La dittatura del prodotto tipico. Che senz’altro è uno spazio di mercato rilevante e ha più udienza rispetto magari a un museo delle farfalle o della civiltà contadina. Ma è pur vero che con le migliaia di persone che decidono di “regalarsi il nostro territorio”, oggi offriamo anche cibo spazzatura, o quello standard dell’industria globale del food. E quando si propone e si promuove un cibo o un vino non si fa mai riferimento alla cultura popolare di quel territorio. Quella cultura popolare che dovrebbe fare il paio con il turismo di massa. Ed è anche per questo che il nostro territorio è caratterizzato da una società claudicante, incolta, esposta alle spinte omologatrici imposte dall’alto, conformista, ignorante e anche senza spina dorsale. Vale dappertutto, ma qui da noi, la situazione peggiora. Qui la cultura da anni è la cenerentola nelle strategie per lo sviluppo ed è la serva sciocca della politica. Perché?

La proposta culturale sta morendo per diverse ragioni, ma anche per causa della eccessiva ludicizzazione a fini turistici. Tutto è spettacolo, spettacolo degli eccessi. dell’abbruttimento. Mentre la cultura alta o di élite, si abbassa continuamente e si rinchiude sempre più nelle torri d’avorio delle piazze d’armi di qualche castello rendendosi ulteriormente inutile, autoreferenziale, esibizionista e tuttavia sterile.

E comunque l’uomo non è solo ciò che mangia, come diceva un noto filosofo: è anche ciò che sogna, che pensa, che fa, che dice.

Forse la ricetta perfetta per un rilancio culturale per questo territorio non esiste ma da qualche parte si deve pur iniziare. È questo il lavoro da fare o, meglio, da provare a fare. Come? Discutiamone.

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