Sogno di una notte di mezza estate…

Ero già pronto e comodo davanti al computer, avviato alla scrittura dell’ultimo capitolo del mio prossimo libro, quando dalle finestre di casa è iniziato a filtrare il caos. Auto, clacson, il traffico impazzito. Erano prima decine e poi centinaia di persone che, come dopo una vittoria al Mondiale di calcio, affacciandosi spericolatamente dalle finestre e dai balconi, non gioivano soltanto della vittoria e del calore primaverile ma lanciavano un potente e reiterato grido: «Si è dimesso!!!», strillavano in coro; «Il sindaco si è dimesso!!!», insistevano allegramente. Subito dopo, in molti hanno udito sirene dell’ambulanza avvicinarsi. E intanto qualcuno nei bar di fronte e di lato al Municipio spendeva risate figlie di un nervosismo estremo represso da lustri, mentre altri si rifugiavano in lacrime di disagio. Dettagli, sfumature. Reazioni opposte a un evento che comunque, fino a un istante prima, li aveva accomunati in una sala consiliare ricolma di gente. Quel rito laico, per intenderci, che si celebra saltuariamente, il cui unico scopo è quello di ribadire il dominio totale del sindaco. Non un comune confronto tra maggioranza e opposizione. Per la prima volta da quando occupa il posto che occupa, il sindaco si è visto madido di tensione e difficoltà nel governare l’aula. I temi all’ordine del giorno erano molteplici e insidiosi. Era lì, come riportano le cronache, a difesa del suo operato, protetto dalle sue ancelle e dai suoi paninari invecchiati, soddisfatti della loro mediocrità, legittimata dal ruolo che ricoprono anche in ragione della loro modestia, esibita come una qualità, del  loro cinismo rivendicato come una virtù pubblica, per porre il proprio corpo e pensiero, di fronte all’incalzare della minoranza. Il sindaco – racconta chi c’era -, si è doviziosamente dilungato, con capacità analitica assai puntuta. Il solito armamentario di supercazzole regalate come fossero grandine d’estate sulle vigne: «Rispetto alla costante crescita culturale e civile del nostro Paese, sottolineata anche dai tanti residenti stranieri di lingua inglese, che acquistano casa da noi, è grave avere divulgato di presunti disastri morali e giudiziari presenti solo nella mente di qualcuno», diceva e ridiceva con audacia politica. Un’allegra dichiarazione di intenti dittatoriali. La minoranza, seguita a ruota dal pubblico in sala, democraticamente, ha riso. La stessa gente che, se la rimproveri, grida piccata alla lesa maestà. E, di fronte alle critiche non replica, ma si aggrappa a inutilità ipotetiche. Sono meravigliosi. Un sindaco, tuttavia, smisuratamente debole, tronfio e tristemente paradossale. Ormai però non mi stupisco più, anzi a dire il vero non l’ho mai fatto, avendo sempre guardato al personaggio per quel che è: arrogante, caricaturale, disastroso, noioso, supponente e smisuratamente vuoto. Non c’è più neanche divertimento a criticarlo, perché per organizzare un dibattito bisogna essere almeno in due. Ma ciò che il Consiglio comunale ha svelato al pubblico è stata la fatica implicita nelle capriole del sindaco, sfiancato dalle accuse e dall’insistere e dall’aggressività della minoranza. Che, solida e scomoda come uno scoglio d’oceano, ha incalzato con rigore il sindaco, inchiodandolo alle proprie responsabilità, e gli ha schierato in campo il peggior nemico possibile: la richiesta di dimissioni. E glielo ha detto in casa propria: guardandolo negli occhi, non da una bacheca su Facebook. Una scena meravigliosa. Finalmente la minoranza ha battuto un colpo vero, urlava entusiasta il pubblico presente. Il Mattino e il Sannio Quotidiano hanno parlato comicamente di “lungo applauso, quasi un’ovazione”, grida di giubilo, tra selfie, sorrisi, strette di mano… Sontuosi anche i racconti delle tv locali secondo cui, quando il sindaco è apparso per annunciare le proprie dimissioni inquadrato sul maxischermo posto sulla facciata della casa comunale, lo spazio antistante sia esploso di gioia… Peccato però che non era il sindaco, anche se nel sogno sembrava lui.

Spesso le persone come me, venute da un altro mondo, quello delle speranze e non dei miserabili “sogni” contemporanei, si chiedono come mai tanta gente ancora oggi si lasci andare  al fatalismo politico, si pieghi alla rassegnazione a tal punto che anche quando può dare uno schiaffo al potere che lo tiene in stato di sudditanza, è tentato di rinunciare, di tirarsi indietro come appunto sta accadendo. Non è difficile capirlo, come diceva una nota antropologa, “è l’effetto di un’antropologia indotta e mutante nella quale la vittima accetta di stare al gioco, condivide gli stessi valori del carceriere, invece di cercare riscatto, diritti, eguaglianza gioca le sue fiches nella speranza di diventare croupier”. Il che è drammatico.

Niente di nuovo sotto il sole. Anzi, per quelli che come me hanno creduto al cambiamento, per quelli che come me hanno creduto al coagularsi di fermenti e proteste capaci di assumere la forma di una opposizione forte e condivisa, della quale le elezioni del 31 maggio scorso potevano essere la celebrazione concreta e appagante, beh per tutti loro, per noi, per me, disgraziati spiriti profetici o soltanto disincantati, per chi è deluso e per chi non si era mai illuso, ogni giorno arrivano cattive nuove dal teatro del disinganno che ha sede nella classe dirigente di questa comunità. Dove è diventato obbligatorio credere alle reiterate bugie dell’uomo solo al comando che, grazie ad una massiccia dose di clientelismo, agisce in nostro nome, e a cui è data la facoltà di decidere le strategie, piani di sviluppo, anche di quel poco che resta dell’economia reale di questa comunità.

Niente di nuovo sotto il sole. Niente cambia. E non c’è speranza di cambiare. Non cambierà nulla se speriamo, se ci auguriamo il tanto peggio tanto meglio, nell’illusione che grazie a un “mi piace” suoni la sveglia per la collera e il  riscatto.

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